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Luca Scarlini
Leggi i suoi articoliKetty La Rocca (1938-1976) è stata una figura vivida della transizione tra arte e comportamento, così come essa si è determinata in Italia dagli anni Sessanta. Dopo l’antologia degli scritti dell’artista curata da Lucilla Saccà presso Martano nel 2005, arriva ora una serie di saggi e contributi (testi di Ada De Pirro, Francesca Gallo, Raffaella Perna, Elena Di Raddo, Silvia Bordini, con una postfazione della stessa Saccà) per collocare il suo irriducibile discorso delle forme, portato avanti con rigore e non poca ironia, come si può verificare nei numerosi materiali dell’archivio, organizzato e gestito dal figlio Michelangelo Vasta.
Tra i vari interventi nell’ambito della poesia visiva, in cui esordisce a metà anni Sessanta, colpisce un lavoro del 1965 ispirato al dibattito sul divorzio, fortemente osteggiato dal Vaticano, in cui un prete dall’aria arguta è contornato da una frase irridente: «il sultano malato spera nei pregiudizi». Notevolissime le «Segnaletiche», in cui compaiono insieme titoli di canzoni («Io, tu e le rose») e civiche virtù («Il senso di responsabilità», «Amava molto gli animali»). Poster cinematografici e immagini capitali della storia dell’arte sono sottoposti poi a «riduzioni», alla loro trasformazione in sequenze di linee e punti, macchie, bianchi e neri.
Il percorso verso la performance era quindi tracciato in modo preciso: restano i diagrammi e le fotografie dell’azione «Le mie parole, e tu?» realizzata alla Facoltà di Architettura di Firenze nel 1975. Al centro era sempre il corpo dell’artista, fino all’estremo delle «Craniologie», rivisitazioni dei referti che testimoniavano il decorso della malattia, che ha troncato prematuramente la sua esistenza. I testi raccolti nel volume danno conto, quindi, di un itinerario personalissimo, eppure perfettamente inserito nelle vicende estetiche del suo tempo.
Ketty La Rocca. Nuovi studi, di Francesca Gallo e Raffaella Perna, 155 pp., Postmedia Books, Milano 2015, € 19,00

La copertina del volume
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