Edek Osser
Leggi i suoi articoliLa VII Conferenza nazionale sui siti Unesco, conclusa a Roma il 10 novembre (cfr. lo scorso numero, p. 12) ha discusso e deciso: sta per nascere un Osservatorio dei siti italiani» del Patrimonio mondiale. Avrà più funzioni ma servirà soprattutto a monitorare con continuità lo stato dei siti e a coordinare meglio le tante strutture burocratiche e gestionali che si occupano della loro protezione e valorizzazione. Manca ancora un documento finale che stabilisca composizione e compiti dell’Osservatorio, ma arriverà a breve. Per ora è certo che sarà creata una banca dati sempre aggiornata con documenti, indirizzi, soluzioni e informazioni: un luogo d’incontro, scambio, condivisione di esperienze e problemi multidisciplinari. Verrà data particolare importanza, secondo i principi dell’Unesco, a una strategia che miri a integrare i siti iscritti nella Lista con il resto del patrimonio culturale e naturale dei territori interessati.
Questo il progetto, anche se, nei fatti, l’Italia stenta sempre più a gestire i suoi 51 siti, che certo continueranno ad aumentare. Ci vorrebbero maggiori finanziamenti dello Stato (oggi davvero minimi, quest’anno circa 2 milioni) e soprattutto un’organizzazione più efficiente delle risorse territoriali disponibili.
L’impegno di essere «sito» Di tali aspetti, legati alla gestione, si sta occupando l’Associazione Beni italiani Patrimonio mondiale Unesco che riunisce le amministrazioni locali di città nei quali si trovano i 51 beni. Tra gli scopi, formare reti regionali e associative per conservare e valorizzare al meglio il nostro immenso patrimonio. L’inserimento di beni culturali nella Lista dei siti Unesco richiede un attento, costoso impegno alle amministrazioni locali, specie dei piccoli centri. Con piani di gestione efficienti e una promozione adeguata, le economie locali possono trarne importanti vantaggi, grazie anche a un turismo culturale in forte crescita. L’Associazione italiana (ce ne sono di simili anche in Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna) è presieduta dal sindaco di San Gimignano, Giacomo Bassi (nella foto). Da tempo Bassi chiede a Governo, Parlamento e Unione europea «maggiore attenzione» per i problemi delle amministrazioni locali che spesso non riescono a gestire al meglio i siti del loro territorio. La Convenzione Unesco del 1972 stabilisce che la responsabilità dei siti è degli Stati nazionali. Ma, ricorda il sindaco, la loro protezione e valorizzazione «grava pesantemente e quasi esclusivamente sulle spalle dei governi locali, senza nessun riconoscimento agevolativo relativo all’essere un sito Unesco».
Ecco le proposte concrete (anche sull’ArtBonus) Alla VII Conferenza del Mibact sui siti Unesco, l’associazione ha presentato un documento che elenca una serie di proposte concrete.
Al primo punto si chiede al Governo di predisporre un Piano nazionale che accolga i progetti degli enti locali gestori dei siti per manutenzione, messa in sicurezza, restauro, valorizzazione, ma anche per viabilità e nuove infrastrutture di servizio. Il Piano, propone l’associazione, potrebbe essere almeno in parte finanziato con un minimo sovrapprezzo sui pedaggi autostradali (10 centesimi ogni 100 km) che darebbe un introito di circa 80 milioni all’anno.
Altre proposte sono invece «a costo zero», ma presuppongono una nuova «normativa speciale» per chi gestisce i siti, quasi sempre amministrazioni pubbliche. La richiesta più pressante è «l’esenzione dal Patto di stabilità delle spese per il patrimonio culturale Unesco», norma già proposta senza successo in passato. Un altro provvedimento riguarda il punto più debole del sistema: i piani di gestione. L’associazione infatti ricorda che «oggi sono delle pianificazioni culturali e di orientamento per scelte di governo dei singoli siti, ma non hanno nessun valore prescrittivo, in particolare nei confronti dei privati, e nessun valore d’obbligo nei confronti delle pianificazioni urbanistiche. Occorre che una legge dello Stato dia cogenza e forza a questi piani, equiparandoli agli strumenti urbanistici di pianificazione». Il documento indica anche un altro punto cruciale: l’estrema difficoltà di applicare l’ArtBonus, che concede un notevole beneficio fiscale al privato finanziatore di un intervento sui beni culturali.
Secondo Bassi l’attuale legge funziona soltanto per le consistenti donazioni di grandi imprese che si prestano a campagne di comunicazione nazionali. Per le piccole ditte, che agiscono localmente, il meccanismo è poco funzionale. Il sindaco cita un esempio: la manutenzione straordinaria di due torri del centro storico di San Gimignano. Costo 200mila euro. Un’impresa aveva offerto al Comune metà di quella somma. «Ma, spiega Bassi, il proprietario mi ha chiesto quando avrebbe avuto la ricevuta della donazione a lavori finiti, in modo da poter imputare quella spesa a una certa annualità e quindi far valere l’ArtBonus. Per quella piccola ditta, 100mila euro non sono una cifra trascurabile. Io, continua Bassi, non sono stato in grado di dare certezze sui tempi. L’iter necessario è lungo e incerto: prima il Comune deve trovare i 100mila euro che mancano e programmare l’intervento secondo le dinamiche del Patto di Stabilità; c’è poi la gara d’appalto per il progettista, il percorso per le autorizzazioni del progetto (Soprintendenza, Genio Civile ecc.) e, infine, la gara d’appalto per i lavori. Insomma, senza garanzie sui tempi il donatore ha ritirato l’offerta. Perché l’ArtBonus funzioni ci vuole una normativa che semplifichi di molto tutto il processo».
Per i siti Unesco, con il nascente Osservatorio il Mibact pensa in grande e guarda lontano. Ma intanto l’associazione chiede norme e interventi che, anche a costo zero, possano migliorare subito la situazione di molte realtà locali.
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