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Stefano Miliani
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Esploratore di un’astrazione pura, del dipingere «macchie» e striature senza programmare come ebbe a dire lui stesso, Hans Hartung (Lipsia, 1904 - Antibes, 89) dopo il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1960 creò i «polyptiques», che almeno come impianto concettuale possono rimandare ai polittici medievali. Lo suggerisce Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, parlando della mostra da lui curata nella Sala Prodiani del museo sino al 7 gennaio, nella quale trovano spazio i «polyptiques» dell’artista tedesco poi diventato francese che nel conflitto mondiale combatté (rimettendoci una gamba) contro Hitler.
La mostra (catalogo Magonza) schiera 40 opere su carta e 16 grandi dipinti datati tra il 1961 e il 1988 che, assicura Pierini, vengono presentati per la prima volta come una serie pensata dall’artista: «Ricordando i tanti polittici del museo, la Fondazione Hartung ha proposto di presentare i lavori come una serie. Sono dipinti in più scomparti da leggere come opera unitaria, in sequenza temporale e spaziale, che senza predelle o coronamenti non hanno una gerarchia dell’immagine». L’esito sono acrilici con fasce di colore relativamente compatte, a volte più irregolari, a volte puntiformi, spesso su tonalità blu o nere. «Dal materiale della Fondazione Hartung si capisce bene che prima del 1960 la sua gestualità era tutta concentrata sul bozzetto su carta, perché il quadro che ne scaturisce è l’identica immagine in scala», rimarca Pierini.
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