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Estate indiana

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Federico Florian

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La Biennale di Santa Fe fa la pace con i nativi americani

 

Dal 16 luglio all’8 gennaio si apre SITElines, nuova veste della Biennale di Santa Fe, quest’anno alla sua seconda edizione. Dal 2014, difatti, la rassegna in New Mexico, lanciata nel 1995, ha ristretto il proprio campo d’interesse all’arte contemporanea del continente americano, con un’attenzione particolare alle realtà indigene del Nord America. Sotto la direzione artistica di Irene Hofmann, la biennale presenta i lavori di 35 artisti provenienti da 11 Nazioni, selezionati da un team di cinque curatori (Rocío Aranda-Alvarado, Kathleen Ash-Milby, Pip Day, Pablo León de la Barra e Kiki Mazzucchelli). 

 

Intitolata «Much wider than a line» («Molto più largo di una linea»), frase tratta da un libro della scrittrice Leanne Simpson, l’esposizione ruota attorno a temi quali l’identità indigena, le nozioni di razza e confine, il vernacolare come strategia estetica: in merito a quest’ultimo punto basti pensare all’anfiteatro di Santa Fe, progettato negli anni Sessanta da Paolo Soleri e ispirato ai principi dell’architettura dei nativi americani. Tra gli artisti in mostra, Lina Bo Bardi, Mariana Castillo Deball, David Lamelas, Cildo Meireles, Paulo Nazareth, Erika Verzutti, Javier Téllez e Juana Valdes. Diversi i progetti commissionati appositamente per la rassegna: l’artista brasiliano Jonathas De Andrade realizza un’opera coinvolgendo gli abitanti di Santa Fe; il portoricano Jorge González espone una serie di sgabelli realizzati a mano da artigiani locali; mentre l’architetto statunitense Conrad Skinner presenterà un’installazione ispirata all’anfiteatro di Paolo Soleri e all’Indian Theater Movement.

 

Federico Florian, 11 luglio 2016 | © Riproduzione riservata

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