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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoli«Un’astrazione più energetica che cerebrale», definiva Tommaso Trini la produzione di Walter Fusi, scomparso tre anni fa (era nato nel 1924), cui la Galleria Open Art dedica ora una mostra (fino al 30 luglio, poi dal primo al 24 settembre).
Nelle opere di Fusi infatti il gusto per la forma organica, «psichica e costruttiva» si traduce fin dagli anni Sessanta in una cifra concretista che egli non abbandonerà più, rifuggendo le negazioni costrittive della pittura analitica, che sente troppo fredde, e preferendo coniugare in un gesto concreto fantasia e metodo, in una materia pittorica mobile, dinamica e aperta a continue verifiche.
Un carattere distintivo che culmina nei «Carmina Burana», opere su tela e carta che lo impegnarono per quasi un ventennio fino al 2011, dove lo sforzo di coniugare segno, gesto e colore è scandito da una musicalità che intreccia pause e silenzi con esplosioni vitalistiche del colore.
In questa «ordalia pagana», come la definisce la critica Beatrice Buscaroli nel saggio della monografia che esce in occasione della mostra (edita da Carlo Cambi), Fusi gioca «sul tratto continuo del tempo, sulla sua traccia analogica, e, nella stessa misura sulla sua percezione discreta, discontinua asimmetrica» e riallaccia un dialogo con le esperienze geometriche e tridimensionali delle «Penetrazioni» realizzate tanti decenni prima e, più ancora, con le pastose vibrazioni cromatiche dell’Informale, come ovvio per un artista di quella generazione.
Pittura dunque come scansione di memorie e di frammenti, gesto ripensato e ricomposto; nella raggiunta consapevolezza, l’artista interroga lo spazio nel quale opera quasi come un archeologo che fissa il suo sguardo «sul tenore e sul valore materiale e processuale delle immagini».
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