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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliTra gli effetti collaterali del Covid-19, uno dei più vistosi e non solo per il sistema dell’arte è l’iperattività online. Relativamente alla fiera d’arte contemporanea Artissima (6-8 novembre), si è trattato di aprire (in rete) con cinque mesi d’anticipo rispetto al previsto. Come? Con due iniziative: «Fondamenta» e /ge-ne-a-lo-gìa/. La prima ha riunito sino al 5 luglio 194 gallerie, ciascuna presente con un artista.
«Non una fiera ma una mostra, spiega la direttrice Ilaria Bonacossa, pensata come alternativa alla bulimia da online di questi mesi. Per questo abbiamo proposto un progetto curatoriale, com’è nella tradizione di Artissima. Con un prodotto già selezionato, evitiamo al pubblico un tour de force tra migliaia di opere». Una mostra con opere in vendita (sino a 15mila euro) che ha dato buoni risultati, considerato che «dopo neanche una settimana dall’apertura alcune gallerie avevano già chiesto di cambiare l’opera offerta».
L’altro progetto, pensato per i social, ha portato alla creazione di uno schema a forma di albero genealogico, in cui 31 artisti che nell’edizione 2017 di Artissima erano stato inclusi nella mostra «Deposito d’arte italiana presente», curata dalla stessa Bonacossa e da Vittoria Martini, hanno indicato le proprie radici (gli artisti, ma anche gli scrittori e non solo, che li hanno ispirati nel loro lavoro) e i loro discendenti, cioè i rami dell’albero.
Un «album di famiglia» visibile in «Vernissage» allegato a «Il Giornale dell'arte» di luglio-agosto. È stato un altro modo di ovviare all’isolamento, mettendo gli artisti italiani in contatto fra loro nella fase di crescita dell’albero. «Il digitale consente di mantenere vivo il sistema, ma per le fiere si tratta di un modo diverso di rapportarsi al pubblico», precisa Ilaria Bonacossa. Chi naviga senza naufragare tra 4mila opere (tante erano quelle dell’ultima edizione online di Frieze New York) «è un pubblico che sa già che cosa cercare. In una fiera tradizionale, invece, galleristi, collezionisti e pubblico incontrano persone e opere che non erano nel loro radar».
Ma in quale modalità vedremo Artissima? «Sicuramente dovremo attenerci alle disposizioni per i grandi eventi che verranno emanate con decreto dal Governo. In ogni caso, con gli ingressi contingentati, sarà una fiera più per collezionisti che per il grande pubblico». Un ritorno alle origini delle fiere, dunque: «Io penso, continua la Bonacossa, che il futuro sarà sempre più all’insegna del glocal e che tramonterà una certa idea di internazionalità. È una tendenza che si era affacciata prima dell’emergenza sanitaria, in base alle riflessioni sull’impatto ambientale provocato anche dai viaggi aerei per le mostre d’arte contemporanea.
E non la vedo come una prospettiva negativa. Le gallerie torneranno ad avere un ruolo fondamentale di mediatrici nell’importazione di arte di altri Paesi, cosa che ha favorito la costituzione, in Italia, di alcune grandi collezioni private. Torneremo ad avere dei centri di gravità. L’internazionalità ad ogni costo, tra l’altro, ha fatto sì che nelle biennali circolassero sempre i soliti nomi, che, mescolati ad artisti locali, ti convincono a prendere l’aereo per l’Estremo Oriente. Mentre fino a ieri ci si sentiva in dovere di visitarle tutte, ora daremo prima un’occhiata ai cataloghi e se troveremo qualcosa di nostro interesse intraprenderemo il viaggio». Quanto ad Artissima, «questa situazione non la penalizza particolarmente. Sono le fiere più internazionali a soffrire. E poco male se, per una volta, si invertirà il rapporto tra gallerie italiane (sino allo scorso anno il 40%) e straniere fra le partecipanti».

«O espírito das águas» (2017) di Jonathas De Andrade (particolare) in vendita a «Fondamenta». Cortesia dell’artista e Continua, San Gimignano, Beijing, Les Moulins, Habana, Roma

Ilaria Bonacossa direttrice di Artissima
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