«Muffa» (1951) di Alberto Burri

Image

«Muffa» (1951) di Alberto Burri

Voilà Burri, here is Afro

Due straordinarie retrospettive in due capitali

«In occasione del centenario dalla nascita di Alberto Burri, nel 2015, diverse esposizioni gli sono state dedicate: al Guggenheim di New York, al Kunstsammlung Nordhein-Westfalen di Düsseldorf e ancora alla Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri a Città di Castello in Italia. A Parigi, tuttavia, benché le opere di Burri siano presenti nelle più importanti collezioni pubbliche, l’ultima grande retrospettiva risale a più di quarant’anni  fa», spiega Francesca Piccolboni.

La direttrice della galleria parigina Tornabuoni Art, in rue Charlot, fa riferimento alla retrospettiva del Musée National d’Art Moderne de la ville de Paris del 1972. Dopo aver portato le «Plastiche» di Burri in uno splendido stand ad Art Basel 2018, Tornabuoni Art riempie questo lungo «vuoto» parigino presentando nella sede del Marais, dal 19 ottobre al 22 dicembre, in corrispondenza della Fiac, una monografica, «Alberto Burri», con più di 30 opere. Burri (1915-95), che si era laureato in medicina, decise che avrebbe fatto l’artista mentre era detenuto dagli alleati in una prigione del Texas durante la guerra.

Tornato in Italia nel 1946, a Roma, tenne le sue prime personali tra il 1947 e il 48. La mostra ripercorre tutta la carriera dell’artista umbro, passando per le serie più note, come i «Sacchi», che furono esposti alla galleria del Cavallino di Venezia nel 56, durante la Biennale, i «Legni» e i «Ferri», presentati a partire dal ’57 negli Stati Uniti. Non mancano i lavori degli anni Settanta, come i «Cretti», impasti di terre e vinavil, tecnica poi evoluta negli anni Ottata per l’opera monumentale di Land Art il «Cretto di Gibellina». La mostra si chiude con gli ultimi «Cellotex», uno degli ultimi materiali utilizzati da questo instancabile sperimentatore degli anni Novanta.

Nella sua sede londinese Tornabuoni Art porta invece la retrospettiva di  Afro, già presentata a Parigi. Dal 2 ottobre al primo dicembre, complice la riapertura della stagione, con Frieze e le grandi aste, è allestita una ventina di quadri di grande formato, dipinti tra gli anni Cinquanta e Settanta, selezionati da Tornabuoni con la Fondazione Archivio Afro (Roma) e Philip Rylands, direttore emerito della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, che hanno rinnovato quasi metà della mostra vista a Parigi, introducendo opere come «L’approdo» (1963), una tecnica mista appartenuta a Cesare Brandi, in cui campeggiano grandi forme rosse. Rylands ha curato anche la poderosa monografia sull’artista (Udine 1912-Zurigo 1976), edita in inglese e in francese.

Oltre alla ricostruzione dell’intera parabola artistica a firma di Rylands, che definisce Afro, con il suo possente stile informale, «la principale risposta italiana all’Espressionismo astratto americano», il volume accoglie uno studio di Anne Montfort, curatrice al Cabinet des arts graphiques - Musée National d’Art Moderne di Parigi sull’affresco nella sede dell’Unesco nella capitale francese, una selezione di scambi epistolari e un’antologia critica.
 

«Muffa» (1951) di Alberto Burri

Luana De Micco, Francesca Romana Morelli, 18 ottobre 2018 | © Riproduzione riservata

Voilà Burri, here is Afro | Luana De Micco, Francesca Romana Morelli

Voilà Burri, here is Afro | Luana De Micco, Francesca Romana Morelli