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Matteo Bergamini
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Ma c'è un altro aspetto, che si potrebbe giudicare profondamente contraddittorio a proposito della pesante eredità storica cilena: la ricerca delle giovani generazioni di sfilarsi, gradualmente, dalla morsa dell'arte come politica, investigando, ad esempio, una atmosfera più introspettiva che sì, in fondo, è a sua volta una fotografia politica, ma «universale», degli ultimi tempi.
«AL UNÍSONO», che significa proprio «All'unisono», raccoglie i 40 selezionati (su un totale di più di 600 candidature) del 25.mo Premio Municipale di Giovane Arte, al Centro Cultural La Moneda, marco storico della città.
Qui, effettivamente, la politica si fa poetica ed è difficile intercettare opere che portino in sé una certa rabbia o un attacco sbandierato al più neoliberale dei sistemi economici del Mercosul (non è un caso che i partner commerciali del Cile siano per la maggioranza Paesi asiatici e europei, mentre non sono particolarmente attive le relazioni con i vicini Brasile, Bolivia o con l'America Centrale, escludendo invece l'Argentina, ndr).
Catturano l'attenzione opere diversissime per stile e per tematica, appunto raccontano di una intimità con cui la vita pubblica spesso fa i conti: Mariana Robert Barros, con l'installazione in ceramica «Garabatos» riflette sui processi mentali dello scarabocchio e della sua potenza psichica; la meccatronica delle protesi dentali che si muovono in una sorta di dialogo dai codici inintelligibili, «Afasia» di Javiera Vega Montecinos, riflette sulla difficoltà del linguaggio; Santiago Vio Cifuentes opera una distorsione semiotica tra un leggerissimo aquilone che vola nel cielo di Santiago con l'aforsima «Este enorme peso que llevo conmigo», riportato anche sul dorso del gioco artigianale, a focalizzare la difficoltà di sollevarsi. Infine, un omaggio alla tecnica del cucito e del ricamo con «Snake», uno stop-motion del primo gioco da cellulare qui traslato in molteplici combinazioni di croché, firmato da Javiera Clavería Araneda.

Joaquín Reyes, vista della mostra Mirar Desde Frente, a cura di César Gabler. Courtesy Isabel Croxatto Galería
E ora, passiamo agli imperdibili: il Museo della Memoria e dei Diritti Umani, inaugurato nel 2010, nacque anche per cercare di dare una risposta alle richieste delle organizzazioni di familiari delle vittime e degli organismi di difesa dei diritti umani, i cui archivi sono stati dichiarati “Memoria del Mondo” dall’UNESCO, da parte della ex Presidente del Cile Michelle Bachelet. Un museo che è una pugnalata e di cui fa parte l'installazione permanente «La Geometría de la Conciencia», di Alfredo Jaar (1956). In una area sotterranea antistante all'edificio principale una piccola porta si apre sul buio totale: d'un tratto migliaia e migliaia di silhouette di volti umani, ognuno differente, sorgono dalle tenebre, per poi sparire nuovamente nell'oscurità: secondo il rapporto Retting le vittime del regime di Pinochet furono poco più di 3mila; secondo i numeri non ufficiali, dal 1973 al 1990, furono oltre 40mila uomini, donne e perfino adolescenti, ad essere torturati, uccisi e fatti sparire senza lasciare alcuna traccia, in oltre millecento campi di detenzione sparsi dal deserto al polo sud, tra cui la tragicamente celebre Colonia Dignidad diretta dall'ex nazista tedesco Paul Schäfer, che divenne anche soggetto dell'omonimo film del 2015, diretto da Florian Gallenberger, con Emma Watson, Daniel Brühl e Michael Nyqvist.
Tornando nel centro storico di Santiago, il Museo Chileno Precolombino è una tappa fondamentale: fondato nel 1886 da Rafael Jeremías de la Fuente, le sue sale raccolgono oltre mille pezzi che spaziano da oggetti in ceramica, all'oreficeria, alle sculture rituali e altri oggetti quotidiani delle civiltà indigene che abitarono il «Cile prima del Cile»: i Mapuche, gli Atacameños, gli Aymara o le popolazioni Diaguita, una cultura precolombiana che si estendeva nel nord del Paese a regioni che oggi appartengono all'Argentina e al Perù.
E le galleria d'arte? Non sono moltissime, anche perché la produzione delle Arti Visive in Cile vive ancora sotto l'embargo di una legge molto particolare, come ci racconta Alfonso Arenas, Segretario Esecutivo per le Arti Visuali del MINCAP: si tratta della Legge 17.288 del 1970, conosciuta anche come Ley de Protección del Patrimonio Cultural de la Nación che ha l'obiettivo di proteggere e conservare il patrimonio culturale cileno e stabilisce che alcune opere d'arte, anche se vendute o esportate, devono ritornare nel Paese quando considerate parte del patrimonio nazionale. Chiaro è che per l'export e per i bulimici mercati globalizzati questo percorso non è di certo facilissimo.
Tuttavia, vale la pena una visita alla Galería Patricia Ready, dal 2008 situata nel quartiere di Vitacura, che consta tra i suoi rappresentati lo stesso Jaar, Voluspa Jarpa, Cecilia Vicuña e Patrick Steeger (1970), che abbiamo visto in scena con una bella mostra che lo stesso artista ha definito come una «natura morta» in scala ambientale: la prima personale dopo che un incendio ha letteralmente trasformato e plasmato l'atelier dell'artista, manipolando incidentalmente materiali e creando nuove e impossibili forme in un «Apparente Miracolo», titolo dell'esposizione, che ha permesso una riscrittura generale dello sguardo di Steeger.

Zaida González Ríos, Ni lágrimas ni culpa (autorretrato), 2016, Fotografia analogica in B/N colorata a mano,100 × 80 cm
Sull'altro lato della strada, c'è Il Posto, collezione e centro di studi sull'arte contemporanea Latinoamericana: un patrimonio composto da circa 400 opere di oltre 70 artisti, tutto dedicato al dialogo storico che questa area del mondo ha intrattenuto con sé stessa e con altre geografie, a partire dagli anni '70 circa. Attualmente, in scena, una retrospettiva dedicata all'opera pittorica di Gonzalo Díaz (1947), includendo una produzione che l'artista realizzò nei primi anni '80, durante un periodo vissuto a Firenze, dove i riferimenti della cultura popolare cilena vengono investiti e elettrizzati con il linguaggio pop che segnava anche l'italico ritorno alla pittura.
A Providencia, la Galería Aninat è una delle più assidue frequentatrice delle fiere del Sudamerica: da Ch.ACO, proprio a Santiago, a Zona Maco a Città del Messico, da Este Arte in Uruguay a Ar.Pa a San Paolo, e a sua volta rappresenta grandi nomi cileni come Carlos Leppe, o i già citati Elías Adasme e Iván Navarro.
Dulcis in fundo due gallerie «casalinghe» che, da molto tempo, occupano uno spazio di rilievo nella scena artistica contemporanea di Santiago: Isabel Croxatto, i cui due spazi si trovano a pochi passi dalla fermata del metrò «El Golf», zona Las Condes, e Galería Metropolitana, nel quartiere Pedro Aguirre Cerda, a sud del centro.
«Da dodici anni ho fatto della mia stessa casa un punto di incontro per artisti e per chi vuole interessarsi dell'arte giovane cilena, specialmente di pittura, quel genere che molte volte viene rifiutato per essere considerato, ancora, antiquato, non avanguardistico», ci racconta Isabel, tra le opere della mostra «Mirar desde frente», di Joaquín Reyes (1984): una figurazione che parte dall'astrazione, dove il sei ritorna come numero ricorrente: sei sono le sovrapposizioni di forme e figure che completano la tela, e sei sono i colori che l'artista utilizza per sviluppare le sue opere. Con un passato come ballerina classica e coreografa, Isabel Croxato ha fatto anche della sua attività di gallerista un palcoscenico internazionale, presentandosi in fiere come Art Central a Hong Kong (fondata dal team fondatore di Art Hong Kong, prima di essere acquisita da Art Basel, ndr), Contemporary Istanbul, Urvanity Art a Madrid, Pinta a Miami e Arteba a Buenos Aires. «L'idea di creare una galleria domestica è venuta anche per avvicinare i collezionisti più piccoli, di cui Santiago è ricca, ad una dimensione accogliente: molto spesso non sono solo i prezzi delle opere a spaventare chi vorrebbe comprare arte, ma anche l'attitudine respingente che questo mondo porta con sé», racconta Croxatto: i prezzi dei suoi artisti, di fatto, per un collezionista europeo abituato alle cifre svizzere o francesi, sarebbero un affare definitivo.
Galería Metropolitana è stata invece fondata nel 1998 da Ana María Saavedra e Luis Alarcón: un capannone di metallo, brutalista, estensione della dimora della coppia, che in più di 25 anni di attività ha organizzato qualcosa come 400 mostre e collaborato con alcune delle più importanti istituzioni per il supporto della cultura visuale del mondo, da ProHelvetia (con cui si è realizzato l'attuale progetto dell'artista svizzera Gabriela Löffel «Grammar of calculated ambiguity», una ricerca serrata sulle registrazioni occulte e occultate dei Panama Papers) a Capacete, residenza di Rio de Janeiro, fino all'Italian Council, che nel 2022 ha portato a Santiago l'artista italiano Francesco di Tillo con la sua installazione «Remoto», dedicata proprio alla convivenza con uno dei più comuni fenomeni della natura tanto in Cile, quanto in Italia: i terremoti. «Metropolitana è un progetto concepito e attivato a partire dal nostro territorio, che costituisce la base del nostro lavoro, dove ci prefiggiamo l'obiettivo di unire il mondo popolare e quello colto, attraverso due dinamiche fondamentali: lo sviluppo di opere specifiche, e un lavoro costante tanto all'interno del tessuto sociale, cittadino e cileno, tanto rispetto al sistema dell’arte contemporanea internazionale, attraverso la costruzione di reti collaborative», raccontano Ana e Luis.
E mentre aspettiamo l'annuncio dell'artista cileno alla prossima Biennale di Venezia, previsto per agosto (e l'apertura del NuMu, il museo del contemporaneo della Collezione Engel, previsto per il 2027, ndr), proseguiamo il viaggio nell'impossibile tentativo di offrire un racconto organico di questo Paese, terra di estremi sussulti a valle delle impressionanti e perennemente innevate vette delle infinite Ande, geografia di sorprese inaspettate o, per dirla ancora con Isabel Croxatto: «Un Paese ricco in originalità, dove con pochissimi ricorsi l'arte fiorisce di una tale bellezza che tutto il mondo potrebbe correre per vederla, esattamente come fa con il nostro sterminato deserto quando sboccia con qualche goccia di pioggia».