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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliSotto la Galleria delle Carrozze di Palazzo Medici Riccardi, come hanno rilevato scavi archeologici, un tempo scorreva un fiume. Ora nel palazzo sfilano silenti barche di Claudio Parmiggiani, sospese in un viaggio immobile tra una meta e un’altra, forse irraggiungibile, nella speranza di una terra sconosciuta. Alle pareti, invece, grandi tele monocrome di Abel Herrero ripropongono in chiave contemporanea un genere classico della pittura, la veduta marina, con mari ondosi dai colori forti, acidi o cupissimi. Sono immagini realizzate sottraendo il colore steso a fresco, quindi, in fondo, con analogia al procedere di Parmiggiani fin dagli anni Settanta, nelle sue celebri «Delocazioni» (sebbene lì fossero in gioco il fumo e la cenere). Ed era stata proprio una «Delocazione» (la più grande da lui mai realizzata), che nel 2006 Herrero aveva scelto di esporre al Museo Nacional de Bellas Artes dell’Avana, «Silencio a voz alta», a siglare un’amicizia nata in Italia, dove il pittore cubano risiede dagli anni Novanta.
La mostra odierna «Viaggi di luce», aperta fino al 21 gennaio 2024, progetto del Museo Novecento a cura di Sergio Risaliti, promossa da Città metropolitana di Firenze e organizzata da Mus.e e Associazione Kontainer, vede dunque riuniti i due artisti in un viaggio a due voci, accomunato dalla tensione verso un infinito, ma ben consapevole della condizione umana. Creature iconiche della cultura fluviale del fiume Po, nei luoghi dove Parmiggiani è nato, le barche, come ombre silenziose, normalmente usate per trasportare materiali da lavoro, sono qui alleggerite da quella fatica e si caricano dei materiali della pittura e di luce di colore puro. Ed è come se proprio da lì sorgessero anche i paesaggi marini di Herrero, muri di acqua saturi di colore, dipinti non quando egli viveva a Cuba, un’isola, ma già in Toscana.
In una società dominata dalle immagini, Herrero patisce nel vedere «un paesaggio dell’assimilazione passiva, della sopportazione della dottrina dell’alienazione e dell’impossibilità di accedere alla contemplazione in quanto categoria psicologica sempre più negata», e rivendica il suo desiderio di purezza. Sembra infatti resistere, in entrambi gli artisti, quel che Risaliti definisce «la meraviglia per il miracolo dello sguardo, che è poi quella del riconoscimento contemplativo del reale. Quel vertiginoso spalancarsi del divino e dell’infinito tanto nella cosa quanto nell’opera d’arte». Parmiggiani, dal canto suo, precisa di non avere una concezione nichilista della vita, non sapendo che cosa essa sia: «Sento che è un grande dono; il dono di poter osservare il mondo, di poter osservare gli occhi di un mio simile, il miracolo di poter camminare su questa terra».

Una veduta della mostra «Viaggi di luce»
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