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Cecilia Paccagnella
Leggi i suoi articoli«Ognuno può criticare, violentare, demistificare e proporre riforme, deve rimanere però nel sistema, non gli è permesso di essere libero». Con queste parole, Germano Celant (Genova, 1940-Milano, 2020) introduceva quello che divenne uno dei più importanti scritti sull’Arte Povera («Arte povera. Appunti per una guerriglia», in «Flash Art», 1967).
Attorno al concetto di «libertà» si svilupparono le produzioni di Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Luciano Fabro, Pino Pascali, Giovanni Anselmo, Mario Merz, Mario Ceroli, Gianni Piacentini, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio, Piero Gilardi, i principali esponenti di un modo di fare arte che, tra Torino e Roma, decise di sfidare il sistema dell’arte allora vigente. A questi si affiancò una altrettanto nuova tipologia di fare critica: non più costituita da giudizi espressi a distanza (leggendo, studiando, guardando), ma vivendo a stretto contatto con gli artisti.
In veste di «critico militante», Celant studiò un modo per far sì che la curatela potesse adattarsi alle opere d’arte effimere, cariche di energia, ma inadatte all’esposizione istituzionale e museale. Libero da rigidità burocratiche e da ferree classificazioni, ha saputo ridefinire e ampliare i confini tra le diverse discipline, e sviluppare un linguaggio critico transdisciplinare.
A distanza di cinque anni dalla sua scomparsa, il suo pensiero e la sua storia sono più che mai attuali ed è proprio alla conferma di questa attualità che aspira la prossima pubblicazione Germano Celant. Cronistoria di un critico militante, edita da Skira. Il volume (504 pagine con oltre 150 immagini) raccoglie in ordine cronologico le giornate di studio, dedicate al suo lavoro e alla sua figura, svoltesi tra il 2021 e il 2023. Ideate da Marco Tirelli, presidente per il biennio 2023-24 dell’Accademia Nazionale di San Luca di Roma e curate dallo Studio Celant (nella persona di Antonella Soldaini), le «lezioni» si sono svolte nell’accademia stessa (dove il libro verrà presentato a ottobre) e in alcune delle istituzioni con cui lo stesso critico si relazionò: Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee-Museo Madre, Fondazione Giorgio Cini, Fondazione Prada, MaXXI-Museo nazionale delle arti del XXI secolo e Triennale Milano.
Pensati come occasione di confronto, gli interventi offrono una riflessione collettiva sul suo operato, dall’Arte Povera alla metodologia espositiva, dalla scrittura editoriale al rapporto con le istituzioni.
Tra le pagine risultano i contributi di Marco Tirelli, di Argento Celant e Antonella Soldaini (Studio Celant); i testi di Bruce Altshuler, Dario Apollonio, Nina Artioli, Marco Bagnoli, Luca Massimo Barbero, Marcella Beccaria, Fabio Belloni, Alfredo Bianchini, Andrea Branzi, Monica Bruzzone, Clelia Caldesi Valeri, Paolo Canevari, Francesca Cattoi, Pierluigi Cerri, Carolyn Christov-Bakargiev, Laura Conconi, Lara Conte, Maria Corti, Marco De Michelis, Giorgio Di Domenico, Elvira Dyangani Ose, Daniela Ferretti, Francesco Guzzetti, Fulvio Irace, Daniela Lancioni, Veronica Locatelli, Mario Mainetti, Vittoria Martini, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Gianni Pettena, Renzo Piano, Stefano Pezzato, Francesca Pola, Italo Rota, Lia Rumma, Remo Salvadori, Denis Santachiara, Annabelle Selldorf, Salvatore Settis, Antonella Soldaini, Chiara Spangaro, Grazia Toderi, Andrea Viliani, Denis Viva, Gilberto Zorio, Stefania Zuliani; e le conversazioni di Marina Abramović con Marcella Ferrari, Vicente Todolí con Antonella Soldaini e con un breve intervento di Daniela Ferretti, Laurie Anderson, Thomas Demand e Mariko Mori con Mario Mainetti.
«Uscire dal sistema vuol dire rivoluzione», si legge ancora su «Flash Art» e Celant, alla fine, la sua rivoluzione l’ha avuta.

La copertina del volume
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