Caro Luccardini,

questo è un edificio imbarazzante. È così orgoglioso di sé che fa crollare ogni certezza. Non so se sia contro, non so se sia così per liberarsi del passato, non so se sia una fuga in avanti o dal vecchio. Non lo so. Questa è la sindrome che mi coglie. Non so se è decontestualizzata perché è così importante che si autocontestualizza. È contesto di sé stessa, il che contraddice il significato di contesto. È come parlare da soli, di sé stessi a sé stessi. E gli altri? Se ci sono si arrangino, io mi autocompiaccio. Che sia un’architettura decontestuale o autocontestuale non lo so. E torniamo al punto di prima: il non so. Sono perplesso! Certo gli spigoli acuti non sono molto accoglienti, respingono. Alcuni dicono che siano segno di intelligenza. Forse vuole stare da sola, basta a sé stessa. Che si arrangi lei, a noi piace la compagnia. 
Gaggero

Caro Gaggero,

vicino al museo c’è il terminal dei traghetti e anche lui è una scatola di cemento, autoreferenziale e piena di spigoli. Gli altri edifici sul molo sono più tradizionali e però questa volta io voglio difendere il museo che si sporge con la sua finestrona sulla gente che frequenta il molo (finestra che mi ricorda il MaXXI di Roma). Questo modo di presentarsi sembra un vigoroso invito a un pubblico che i musei non li frequenta. Sembra dunque che il museo ostenti uno schermo, come quello old style del televisore, quello con la cornice. È un invito a guardare cosa c’è nello schermo, un invito a entrare nel museo e poi, una volta dentro, a guardare la città dal finestrone. Fidati: è così! 
Luccardini