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Un ritratto di Christian Greco

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Un ritratto di Christian Greco

Sì, certo, facciamo politica e siamo esterofili. La nostra è restituzione simbolica grazie alla rete

Il Museo Egizio di Torino «mette a disposizione tutte le immagini dei reperti, ma anche archivi fotografici e documentali e indagini diagnostiche». Invece della mercificazione, un’apertura totale agli studiosi di tutto il mondo e «al popolo egiziano che si riconosce in queste testimonianze»

Christian Greco

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L’idea di museo accessibile e aperto a tutti con l’intento di condividere e comunicare il proprio patrimonio e il proprio sapere, così come riconfermato nella definizione dell’International Council of Museums (Icom) dell’estate del 2022 a Praga («Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità», Ndr), può prendere corpo oggi attraverso un grande numero di forme di espressione, materiali e immateriali. Una di queste costituisce un vero e proprio «statement», una postura: la «policy» che il museo sceglie di applicare nel mettere a disposizione le immagini dei reperti della propria collezione, ma anche i propri archivi fotografici e documentali fino all’esito delle informazioni dalle indagini diagnostiche. Da questo punto di vista una svolta decisiva è stata determinata dalla possibilità di diffusione «worldwide» data dalla rete, rete che geneticamente ha nel proprio intento la condivisione gratuita del sapere. Tale intento è ampiamente testimoniato dalla vita di Aaron Swartz, attivista statunitense, giovanissimo coautore delle licenze Creative Commons, e creatore dell’Open Access Manifesto.

Il Museo Egizio ha scelto quindi di mettere a disposizione con licenza Creative Commons 00 le foto dell’intera collezione. E non solo. La difficoltà di consultazione della documentazione fotografica e la rinnovata esigenza di ricavarne informazioni e spunti per la ricerca ha indotto il Museo Egizio a intraprendere una riflessione sullo studio, sulla conservazione e sulla valorizzazione dell’intero corpus. Proprio da questa riflessione è emerso l’impegno per la digitalizzazione dell’intero archivio, attuata per una piccola quantità di foto a partire dal 2010, affiancata da un importante lavoro di ricerca per il riconoscimento dei soggetti presenti negli scatti. È di qualche settimana fa l’annuncio di un arricchimento del nostro archivio fotografico che documenta gli scavi in Egitto a partire dall’inizio del Novecento: l’archivio online si è allargato grazie alla collaborazione fra diverse istituzioni quali l’Archivio di Stato, il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino e l’Archivio Ballerini di Como.

L’archivio fotografico del Museo Egizio è costituito ora da circa 45mila immagini, suddivise tra circa 25mila lastre fotografiche su vetro o celluloide, 15mila diapositive e 4.500 stampe otto-novecentesche. La digitalizzazione ancora in corso presenta online una selezione di circa 3mila immagini, che proprio grazie alla collaborazione con vari enti e associazioni si può leggere come una restituzione di «disiecta membra».Tali iniziative vanno nella direzione di una condivisione libera e gratuita, come ha più volte caldeggiato e argomentato su queste pagine Daniele Manacorda, anche sottolineando la specifica irrilevanza dal punto di vista economico della scelta di vendere i diritti delle immagini. Nel caso del Museo Egizio però l’operazione ha una sfumatura deontologica in più: la nostra collezione, seconda solo a quella del Museo del Cairo, nasce in un contesto storico e geografico che non è nient’affatto il nostro. Sentiamo pertanto il dovere di mettere in atto una forma di restituzione simbolica tramite la rete per gli studiosi di tutto il mondo, con tuttavia attenzione particolare alla conoscenza del popolo egiziano che si riconosce in queste testimonianze.
 

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Christian Greco, 28 febbraio 2024 | © Riproduzione riservata

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