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Sanzia Milesi
Leggi i suoi articoliQuali sono le caratteristiche visive che rendono i film di Wes Anderson così immediatamente riconoscibili? È da questa domanda, posta dal suo storico direttore della fotografia Robert Yeoman, che si apre il manuale, scritto da Adam Woodward e Liz Seabroook, ora in Italia grazie all’editore Apogeo. Un libro fatto di schemi ed esercizi pratici, nato per chi desidera, recita il sottotitolo, «imparare a realizzare immagini in perfetto stile Wes Anderson».
Gli stilemi a cui il regista americano deve la propria notorietà vanno dalla maniacale attenzione ai particolari nella composizione della scena, all’uso del «color grading» per manipolare tonalità e saturazione dell’immagine. Queste caratteristiche ricorrenti popolano i suoi lavori e sono loro a rendere unico lo «stile Anderson». Gli autori del saggio hanno però compiuto la scelta di non analizzare la fotografia di ciascuno dei suoi film (ossia il dialogo di questi tratti colti nel loro insieme in un «unicum» narrativo), quanto piuttosto di concentrarsi, per ogni singolo capitolo, su un unico titolo e un preciso consiglio.
In questo modo, per esempio, il film d’esordio «Un colpo da dilettanti» (1996) diventa occasione per trattare il suo uso della luce naturale: come lui sfrutta «l’ora magica» di alba e tramonto al fine di sottolineare l’emozione di alcune scene, così possiamo fare noi nelle nostre foto. Oppure è spiegato il suo approccio grandangolare agli ambienti esterni, grazie alle riprese degli edifici in «Asteroid City» (il più recente dei film trattati dal volume, che non comprende «La meravigliosa storia di Henry Sugar e altre storie» (2024) e l’attualissima «La trama fenicia» (2025), proprio ora nelle sale italiane. Come realizzare un’estetica «da cartolina retrò» per stazioni di servizio e motel? Immagini piatte, una linea d’orizzonte decentrata, forme accentuate, uno «spazio negativo» che isoli le strutture dagli sfondi. Attenzione però, mettono in guardia gli autori, anche in un lungometraggio «super artificiale» come «Asteroid City» è ad esempio presente la luce naturale, utilizzata per restituire l’atmosfera desertica della città protagonista del film (la spagnola Chinchón).
Non si può dimenticare poi una parte essenziale di ciascuno dei suoi film: gli oggetti di scena. Nel narrare la storia, nel costruire la psicologia del personaggio, Wes Anderson è un mago e tira fuori dal cilindro alcuni oggetti su cui catalizzare gli occhi del pubblico. Chiunque abbia visto un suo film, piaciuto o meno, non potrà che aver apprezzato questa sua dote. La disposizione degli oggetti di scena (a volte reali, a volte semplici segni in computer grafica) diventa centrale nel capitolo su «The French Dispatch» (2021): radio vintage e pile di libri costruiscono il mondo della redazione della rivista, riportano a un protagonista del racconto e scandiscono il film in distinti quadri-episodi, dal «reporter ciclista» al «capolavoro di cemento».

Una fotografia tratta dal libro «Scatta come Wes-Impara come realizzare immagini in perfetto stile Wes Anderson». Photo © Liz Seabrook
Altri esempi sono poi gli schemi di colore (cappello rosso e porta rossa) in «Rushmore» (1998). Abbinamento che agli spettatori più attenti, ricorderà maglietta rossa e porta rossa della corsa di Anthony in «Un colpo da dilettanti». O ancora «Il treno per il Darjeeling» (2007) dice molto sui ritratti di gruppo; mentre «Moonrise Kingdom-Una fuga d’amore» (2012) ci erudisce sul primo piano dei volti. Gli scatti dall’alto sono al centro di «I Tenenbaum» (2001) e quelli a bassa angolazione di «Fantastic Mr Fox» (2009). In «Le avventure acquatiche di Steve Zissou» (2004) capiamo come creare profondità per allargare l’inquadratura; mentre in «L’isola dei cani» (2018) regna il punto di vista in prima persona. Preziosi insegnamenti, come quello che ricaviamo da un film di culto come «Grand Budapest Hotel» (2014) con la sua estetica da casa delle bambole: creare simmetria, estetica e narrativa. Uno dei precetti chiave della poetica di Wes Anderson, che di certo è uno dei pochi registi contemporanei (o forse il solo?) a unire trame bizzarre a messe in scena sorprendenti.
Insomma, a cinquantasei anni quest’artista visionario non ha affatto perso la sua freschezza e capacità di stupire (tanto che «andersoniano» ne è quasi diventato sinonimo). E con «La trama fenicia» torna sui grandi schermi confermando il progetto visivo che ce lo fa riconoscere tra mille: stessa tavolozza di colori vintage e medesima costruzione degli ambienti e del rapporto di inquadrature tra personaggi, campi-controcampi e linee di fuga che convergono centralmente...
Resta forse una sola curiosità, più viva di altre. Ma quali sono i riferimenti «più classici» a cui potrebbe essersi ispirato? A rivelarlo quasi di sfuggita, tra le righe iniziali di prefazione al libro, è la fotografa Laura Wilson, che conobbe Wes Anderson nel 1991 quando questi ancora frequentava l’Università del Texas, condividendo l’appartamento con suo figlio Owen Wilson, futuro attore in diversi suoi film. «A ventun’anni, racconta, studiava le fotografie di Lartigue e Richard Avedon». Che dire: digerire e far propri gli insegnamenti dei grandi maestri, per poi poter trovare una propria strada originale, è alla base di ogni lavoro d’artista. Il lettore-fotografo può iniziare da qui.
Scatta come Wes-Impara come realizzare immagini in perfetto stile Wes Anderson
di Adam Woodward e Liz Seabrook, traduzione di Monica Sala, 160 p. ill. brossura, Apogeo, Milano 2025

La copertina del volume
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