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Nicoletta Biglietti
Leggi i suoi articoliUn cofano d’auto, un’insegna piegata, una lamiera recuperata tra gli scarti: da questi elementi Robert Rauschenberg dà vita ai suoi «Gluts», sculture realizzate fra il 1986 e il 1994 e mai esposte prima in Francia. Il 20 ottobre 2025 la galleria Thaddaeus Ropac di Parigi inaugura la prima mostra dedicata al ciclo, che mancava dalle sale europee da quindici anni. L’esposizione apre le celebrazioni per il centenario dell’artista, riportando al centro un capitolo cruciale della sua ricerca.
Nei «Gluts» Rauschenberg abbandona il supporto della tela e lascia che gli oggetti si sostengano da soli. Frammenti industriali, parti di veicoli, insegne e lamiere, rivettati, saldati o accostati con rigore, dialogano con lo spazio e con lo sguardo dell’osservatore. L’uso del metallo e di materiali di recupero segna una svolta formale e concettuale: ogni oggetto conserva la sua storia, ma viene ricomposto in forme nuove, bilanciate e autonome.
L’idea del ciclo nasce già nel 1985, durante un viaggio in Texas: l’artista nota paesaggi segnati dalla crisi del petrolio, con aree industriali abbandonate, insegne arrugginite e veicoli inutilizzati. Tornato a Captiva Island, in Florida, inizia a cercare materiali simili nelle discariche locali, recuperandoli, assemblandoli e trasformandoli in elementi scultorei. Questo gesto di recupero anticipa concetti ambientali e sociali oggi al centro del dibattito: il riuso, il ciclo dei materiali, la responsabilità ecologica dell’artista. Un episodio particolare nella storia dei «Gluts» riguarda i cosiddetti «Neapolitan Gluts». Nel 1987, a Napoli, durante una performance della Trisha Brown Dance Company, lo scenografo non riesce a recapitare il materiale per la scenografia a causa di uno sciopero portuale. Rauschenberg, abituato a lavorare per improvvisazione e collaborazione, raccoglie scarti locali per costruire un set alternativo. Alcuni di questi elementi verranno poi integrati nella serie dei «Gluts», assumendo la denominazione di «Neapolitan». L’esposizione parigina riunisce le opere nate a Captiva Island e i «Gluts» realizzati a Napoli, mostrando come l’artista fosse capace di trasformare circostanze casuali e materiali di recupero in sculture autonome. Da questo dialogo tra contesti diversi — il paesaggio industriale americano e quello urbano napoletano — emerge una coerenza di linguaggio, dove ogni frammento conserva la memoria del proprio passato pur assumendo una nuova forma.
Molti «Gluts» portano infatti visibili tracce della loro origine: insegne incomplete, lettere, numeri o istruzioni industriali. In «Summer Glut Fence» (1987) compaiono due segnali «Stop» sbiaditi, mentre in «Stop Side Early Winter Glut» (1987), oggi al MoMA di New York, il segnale stradale diventa elemento centrale. La storica dell’arte Susan Davidson li descrive come «directionals», strumenti visivi che orientano lo sguardo e mantengono il legame con il mondo reale. Ma per Rauschenberg il significato non bastava: ogni composizione era calibrata nei volumi e nelle texture con un rigore quasi architettonico. La materia resta ruvida, ma la costruzione è precisa.

Robert Rauschenberg, Aprile 1987, Villa Volpicelli, Napoli.
L’esperienza dei «Gluts» è tutt’altro che univoca. Alcune opere sembrano suggerire funzioni concrete: in «Balcone Glut (Neapolitan)» (1987), una scala attraversa un condotto di ventilazione evocando l’idea di un balcone, mentre in «Tropical Mill Glut» (1989) una ruota richiama il mulino evocato dal titolo. Altre sculture, invece, assumono tratti quasi antropomorfi: elementi che ricordano occhi, arti o corpi accennati. In questo modo la materia industriale sembra animarsi, dando luogo a un dialogo sottile tra tecnologia e umanità.
A completare l’esposizione, un catalogo riunisce fotografie d’archivio, un saggio del filosofo Mark Alizart e un estratto del racconto di Trisha Brown dedicato alla nascita dei «Neapolitan Gluts». La mostra è organizzata in collaborazione con la Robert Rauschenberg Foundation, che dal 2015 promuove la riscoperta dei cicli meno noti e più sperimentali dell’artista — tra cui «Spreads», «Salvage», «Borealis», «Night Shades» e «Phantoms» — contribuendo a rinnovare la conoscenza della sua opera.
Il centenario di Rauschenberg si inserisce in un programma internazionale più ampio, che coinvolge musei e collezioni in tutto il mondo: dal Museum Ludwig di Colonia alla Fundación Juan March di Madrid, dalla Menil Collection di Houston al Guggenheim Museum e al Museum of the City of New York. Nei prossimi mesi, altre mostre saranno presentate al M+ di Hong Kong e alla Kunsthalle Krems, delineando un percorso che ripercorre sessant’anni di sperimentazione e collaborazioni interdisciplinari.
La carriera di Robert Rauschenberg si estende infatti per oltre sei decenni, segnati da una costante tensione verso l’innovazione. Dalla pittura al collage, dalla fotografia alla performance, l’artista ridefinisce di continuo il concetto stesso di opera. Con i «Combines» (1954-64) supera i confini tra pittura e scultura, integrando oggetti trovati, immagini stampate e gesti pittorici in un unico linguaggio. L’assemblaggio diventa così la sua cifra distintiva, insieme all’apertura verso la collaborazione con musicisti, danzatori e tecnici, in un dialogo che abbatte le barriere tra discipline.
La sua formazione accompagna e alimenta questa attitudine sperimentale. Dopo gli studi al Kansas City Art Institute, all’Académie Julian di Parigi e alla Art Students League di New York, Rauschenberg trova al Black Mountain College un ambiente decisivo per il suo sviluppo artistico. Qui incontra Josef Albers, John Cage e Merce Cunningham, figure centrali nella sua evoluzione. Con loro partecipa nel 1952 a «Theater Piece No. 1», considerato uno dei primi Happening, in cui musica, poesia, danza e pittura si fondono in un’unica azione. Negli anni Sessanta amplia il suo linguaggio con serigrafie, fotografia e materiali industriali; nel 1964 ottiene il Gran Premio di Pittura alla Biennale di Venezia, primo artista americano a ricevere tale riconoscimento. Nei due decenni successivi sviluppa cicli come «Cardboards», «Jammers», «Spreads» e infine «Gluts», promuovendo al contempo il dialogo tra arte e tecnologia attraverso iniziative come «Experiments in Art and Technology» (E.A.T.) e il «Rauschenberg Overseas Culture Interchange» (ROCI), dedicato allo scambio culturale internazionale.
Rauschenberg lascia un’eredità fondata sull’apertura e sulla sperimentazione. Nei «Gluts», l’arte nasce da ciò che viene scartato: oggetti comuni si trasformano in strumenti di riflessione estetica, sociale e ambientale. Le sue sculture diventano così archivi del presente, capaci di restituire la vitalità delle cose e di ricordare che, nel suo linguaggio, nulla è mai davvero concluso.