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Afro, «Il pendolo», 1962

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Afro, «Il pendolo», 1962

Rifiorisce a Roma il fermento artistico del secondo dopoguerra

Frutto della collaborazione tra Antonacci Lapiccirella Fine Art e Matteo Lampertico Fine Art, nella capitale tornano le opere dei protagonisti che contribuirono a creare un ponte con New York, da Carla Accardi a Salvatore Scarpitta

Due gallerie che sanno sempre proporre progetti di solida qualità, artistica e di studio, come sono Antonacci Lapiccirella-AL Fine Art di Roma e Matteo Lampertico-ML Fine Art di Milano, hanno unito le forze per presentare, dal 13 maggio al 20 giugno nella capitale, da AL Fine Art in via Margutta 54, la rassegna «1950-1970. Due decenni di arte a Roma», una mostra che esplora quei due vitalissimi decenni del ’900 così come li si visse in una Roma che, dopo la guerra, era diventata un crocevia dell’arte internazionale. 

Sin dal 1952 giunsero infatti dagli Stati Uniti artisti come Robert Rauschenberg e l’amico Cy Twombly, avanguardie dei molti che sarebbero arrivati in seguito, mentre nello stesso anno la Galleria dell’Obelisco inaugurava in città una personale di Alberto Burri che esibiva opere audaci e nuovissime come i «Neri» e le «Muffe». Tra New York e Roma si avviava un’osmosi di (reciproci) influssi che vedrà fiorire artisti italiani di prim’ordine, alcuni già attivi nel decennio precedente (si pensi ad Afro, a Leoncillo o agli esponenti, «formalisti e marxisti», del Gruppo Forma, nato nel 1947) e poi in costante crescita: figure come Carla Accardi, Afro, Gastone Novelli, Bice Lazzari, Leoncillo Leonardi, Jannis Kounellis, Mario Schifano, Salvatore Scarpitta (lui italo-americano) e altri ancora, che oggi sono i protagonisti di questo percorso aperto, cronologicamente, dall’importante scultura ceramica di Leoncillo «Centralinista», 1949, dai modi post-cubisti, ancora dominanti in quel dopoguerra, cui presto subentrerà la libertà gestuale e materica dell’informale di Toti Scialoja, di Afro (qui con «Il pendolo», 1962, e «Sottobosco 2», 1965) e di Mimmo Rotella

Di quegli anni che aprono i ’60 sono in mostra anche opere storiche di Mario Schifano («En plein air», 1963, del cui «plein-air» è protagonista non la natura ma la grafica pubblicitaria urbana, da lui tradotta in pittura) e di Jannis Kounellis, presente con uno degli enigmatici «Alfabeti», 1960-62: numeri e simboli matematici stampigliati con pesanti segni neri sul bianco del fondo, in un’indagine sulle valenze e le convenzioni dei segni linguistici e matematici. A essi guarda anche, seppure con occhi differenti, Gastone Novelli, le cui parole, poetiche e lontanissime dall’assertività dei segni di Kounellis, levitano senza vincoli nello spazio del dipinto, come accade in «Campo dei giochi», 1965, l’opera qui esposta, che sarà in mostra anche nella prossima retrospettiva di Ca’ Pesaro a Venezia. E poi, due artiste donne di grande caratura, come la veneziana-romana Bice Lazzari, che esplora dapprima il segno, poi la materia, poi l’astrazione geometrica, e Carla Accardi, presente con l’acceso «Rossoblu», 1973, e con uno dei suoi famosi «sicofoil», 1975, opere realizzate su quel materiale artificiale traslucido, diffuso negli anni ’60 dall’industria, che costituirà a lungo il supporto per i suoi inconfondibili segni. 

Leoncillo Leonardi, «Centralinista», 1949

Gastone Novelli, «Il campo dei giochi», 1965

Ada Masoero, 12 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Rifiorisce a Roma il fermento artistico del secondo dopoguerra | Ada Masoero

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