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Flavia Foradini
Leggi i suoi articoliBenché dall’inizio degli anni Duemila l’Albertina di Vienna si sia via via trasformata con successo in un museo generalista, il nucleo delle sue raccolte resta quello grafico, voluto dal suo fondatore, il duca Alberto di Sassonia-Teschen, allorché nel 1776 avviò una collezione destinata a diventare una delle più importanti al mondo. Il nuovo direttore Ralf Gleis, in carica dal gennaio 2025, ha deciso ora di immergersi proprio in quel corpus così centrale. Non ha privilegiato tuttavia i maestri antichi presenti copiosamente nelle collezioni di casa, preferendo spaziare nei secoli per mostrare che anche dopo la sua fondazione il museo ha continuato ad acquisire fino ai nostri giorni grafica di rilievo. Così la selezione di opere dal XV secolo all’oggi, che ha effettuato assieme a Katharina Hövelmann, Elsy Lahner ed Eva Michel, propone un viaggio in dieci capitoli nella storia e nell’evoluzione di questo genere, con esempi sia dalla storica collezione grafica, sia da quella di architettura e di arte contemporanea, con lavori esposti raramente o mai presentati in mostre precedenti. «Il nostro intento è di sondare l’arte su carta con un approccio astorico e non cronologico, ponendo domande su quali possibilità derivino da questo materiale fragile, che tuttavia si lascia piegare, strappare, tagliare, arrotolare, imprimere, impilare, dipingere, stampare, o elaborare tridimensionalmente, afferma Ralph Gleis, spiegando gli intenti della mostra «Il fascino della carta. Nuove prospettive sulla collezione dell’Albertina», allestita dall’11 dicembre al 22 marzo 2026. La carta può declinarsi in infiniti gradi di qualità, di colore, di spessore, di superficie e apre ampi spazi di azione e sperimentazione. E ancora: che tecnica è stata usata per ciascuna opera? Com’è cambiato nel tempo il nostro modo di considerare la grafica del passato? È con queste domande che mi sono immerso nei nostri depositi assieme ai curatori delle diverse collezioni e ne siamo usciti con scoperte e nuove conoscenze».
Il risultato è un vasto percorso che presenta anche opere donate o create per l’occasione da artisti contemporanei. Un rilancio dunque della missione storica dell’Albertina, come spiegano le cocuratrici: «Non si tratta di riproporre icone della storia dell’arte come il leprotto o la grande zolla di Dürer, o i nudi maschili di Michelangelo o gli autoritratti di Rembrandt, bensì di dispiegare riscoperte e anche curiosità, come le incisioni pop-up con cui verso la fine del Cinquecento si potevano alzare le gonne delle donne o le carte astronomiche di Dürer e le rappresentazioni della luna realizzate da Jean-Dominique Cassini, o la satira della chiesa cattolica nel XVI secolo. O ancora il modello di Georg Hartmann con cui nel 1529 si poteva costruire una meridiana di carta, come economica variante di quelle di metallo, o una xilografia a colori giapponese in 34 parti e lunga 26 metri, che tra il 1850 e il 1860 rappresentava la storia del principe Genji». Per il XX e XXI secolo, la mostra espone fra l’altro un modello della «Casa Rufer» dall’atelier di Adolf Loos (uno dei suoi unici tre modelli architettonici giunti a noi), e opere di Victor Vasarely, Yves Klein, Heimo Zobernig, Anselm Kiefer, Lucio Fontana, Angelica Glajcar, il duo Payer Gabriel, Birgit Knoechl, o Liddy Scheffknecht con la sua installazione «Popup Living Room».
Rembrandt, «Autoritratto con gli occhi spalancati», 1630. © Albertina, Wien
Angela Glajcar, «Terforation», 2014. © Albertina, Wien. Photo: Max Brucker