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«Superficie 512» (1963) di Giuseppe Capogrossi (paticolare) © Fondazione Archivio Capogrossi

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«Superficie 512» (1963) di Giuseppe Capogrossi (paticolare) © Fondazione Archivio Capogrossi

Quel vizio di legittimità annulla la tutela

I beni culturali possono essere dichiarati di particolare interesse solo se la loro esecuzione risalga ad almeno cinquant’anni

Fabrizio Lemme

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L’articolo 10 della Legge fondamentale di tutela del patrimonio culturale (Decreto legislativo 42/04) assume un’importanza fondamentale in quanto definisce che cosa debba intendersi per beni culturali. Si tratta di una disposizione di complessa formulazione, che, nel III comma, elenca tutte le cose che assumano qualità di beni culturali in presenza di un provvedimento della competente amministrazione con il quale: a) venga riconosciuto il loro particolare interesse; b) siano di autore non vivente; c) la loro esecuzione risalga a oltre settant’anni. Peraltro, in un comma dbis, introdotto con la Legge 124/17, «le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione» possono essere dichiarate di particolare interesse anche se la loro esecuzione risalga a soli cinquant’anni.

Nella storia dell’arte italiana tre artisti, fioriti essenzialmente nel dopoguerra, sono considerati la massima espressione della nostra cultura figurativa: Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi e Lucio Fontana. C’era quindi da attendersi che l’eccezione del comma dbis non potesse che riferirsi a uno dei tre. Con stupore, viceversa, si può constatare, attraverso un provvedimento amministrativo, che l’eccezione abbia fatto riferimento a un altro artista, certamente significativo ma che, almeno fino ad oggi, era stato assunto come comprimario (ne omettiamo il nome per rendere la trattazione di questo articolo la più generica possibile).

Senza ombra di dubbio un’opera di soli cinquant’anni, quando risulti riferibile appunto a un artista minore o comprimario, dovrebbe rappresentare una totale illegalità: essa dovrebbe risultare illegittima, per la natura stessa delle cose. Ma così non è, anche se si afferma, nella nostra tradizione giuridica, che «res judicata non facit de albo nigrum» (il giudice, in altri termini, nel pronunziare il provvedimento terminativo di una lite incontra comunque un limite nella realtà esistenziale delle cose).

Un provvedimento può considerarsi illegittimo quando sia affetto da un vizio che, nel campo amministrativo si designa come «violazione di legge» o «eccesso di potere». Il primo sussiste quando una legge positiva smentisca la pronunzia giurisdizionale; il secondo, quando ricorra uno sviamento dell’atto amministrativo perché esso sia espressione di «détournement de pouvoir» in quanto ne sussista una cosiddetta «figura sintomatica» (difetto di motivazione, illogicità, contraddittorietà).

Considerata la problematicità della storia dell’arte e l’opinabilità delle conclusioni espresse da chi legittimamente rappresenti l’amministrazione di tutela, può accadere, come mi è capitato di constatare, che un provvedimento fondato sul comma dbis (i) si riferisca a un’opera di cinquant’anni di un artista non dei più significativi del dopoguerra, (ii) sia considerata espressione dell’interesse artistico della Nazione, (iii) sia esente da vizi di legittimità.

Non sempre risulta legittimo solo quanto «justum sit»: sempre nelle fonti del diritto, si legge che anche un liberto deve essere considerato un uomo libero quando tale sia indicato da una «res judicata» o comunque non si riscontrino vizi di legittimità nel provvedimento che tale lo abbia dichiarato (D. 1.5.25, Ulpiano). Verità giuridica e verità razionale non sempre corrispondono e un funzionario pervicace e intellettualmente disonesto potrebbe divertirsi a formare un provvedimento illogico nelle conclusioni ma esente da qualsiasi vizio di legittimità.

I suoi provvedimenti, quando costituiscano il risultato di un processo logico coerente e formalmente attendibile, non presentano quei vizi che abbiamo indicato come «sintomatici dell’eccesso di potere». Tali provvedimenti si sottraggono a una giusta impugnativa avanti al giudice di legittimità e fanno parte del diritto positivo. Lottare contro gli stessi ricorda il divino Don Chisciotte della Mancia, quando si batte contro i mulini a vento!

«Superficie 512» (1963) di Giuseppe Capogrossi (paticolare) © Fondazione Archivio Capogrossi

Fabrizio Lemme, 13 gennaio 2023 | © Riproduzione riservata

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