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«Le panier de fraises des bois» di Jean-Siméon Chardin (1699-1779)

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«Le panier de fraises des bois» di Jean-Siméon Chardin (1699-1779)

Non ci sono regole per regolare il valore di un’opera

Una rilessione a partire dalla vendita delle «Fragole» di Chardin per oltre 24 milioni di euro

Fabrizio Lemme

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L’amico Matthieu Fournier, responsabile del settore delle sculture e dipinti antichi della nota casa parigina Artcurial, mi ha inviato un cartoncino nel quale è riprodotto un dipinto di Jean-Siméon Chardin (1699-1779) raffigurante un cesto di fragole.

Il delizioso frutto viene rappresentato non in un solo esemplare ma in un accumulo piramidale e l’opera, firmata, è andata in asta il 23 marzo scorso, partendo da una base comunicata solo agli interessati (on demand). Il riserbo è del tutto comprensibile ma non sopprime, anzi acuisce, la curiosità: quale sarà stato il prezzo di partenza? E quale il prezzo di arrivo raggiunto in sala?

L’asta si è regolarmente svolta e il dipinto ha toccato la cifra, record per l’artista, di 24.381.400 euro (la vendita però è stata bloccata perché l’opera è «tesoro nazionale», Ndr). Sinceramente, se avessi dovuto rispondere, come operatore culturale, alle domande che precedono, non avrei saputo rispondere. Il dipinto di Chardin non ha omologhi, almeno a me conosciuti e la sua qualità è superba: un autentico capolavoro, nella sua sconcertante semplicità compositiva.

Esiste, per gli addetti ai lavori, uno strumento di verifica delle quotazioni di mercato: si tratta di Artprice, un sito nel quale vengono esposti tutti i dipinti di un certo artista (ne sono elencati oltre 700mila!) passati in asta negli ultimi anni e i relativi risultati. Per Chardin, sotto la voce «pittura», esistono 57 precedenti, di vario soggetto e di varia qualità, probabilmente non tutti autografi (la verifica è impossibile, per chi ne conosca solo riproduzioni fotografiche). I prezzi raggiunti in asta hanno uno spazio stupefacente: da poche migliaia di euro a milioni della stessa valuta.

E allora, come orientarsi, per trovare ispirazione all’indicazione del valore? Rammento che, nel corso di un convegno al quale ho partecipato, uno dei relatori, l’insigne storico dell’arte Antonio Paolucci (che ha spaziato dalla carica di alto funzionario dell’Amministrazione dei Beni culturali addirittura a quella di ministro e a quella, finale, di responsabile dei Beni vaticani), disse testualmente: «Il valore di un dipinto è dato dalla cifra che l’acquirente intende apporre all’assegno bancario emesso per acquistarlo».

Una nozione che ha un’intrinseca attendibilità ma lascia tutto al caso e ai capricci del mercato. E questi ultimi sono certamente bizzarri ove si tenga conto che vi sono, nel mondo, ricchezze illimitate e persone disposte a usarle al di fuori di ogni regola logica. Ogni volta che si accede al mercato, se ne ha la conferma: un dipinto parte da una cifra bassa e raggiunge vette incomprensibili oppure non suscita alcun interesse, nonostante la qualità e la notorietà dell’autore.

Quindi, non era dato ipotizzare quale cifra avrebbe raggiunto il capolavoro di Chardin, la cui disarmante semplicità conferma come sia vero l’assunto che svincola il valore dei beni culturali da ogni dato di partenza o di stima. «Così è se vi pare», direbbe Pirandello (il drammaturgo, ovviamente, non il figlio Fausto, notevole pittore). Ho pensato che la cifra prevedibile fosse sicuramente altissima: ma quale? Non mi sarei meravigliato se si fosse trattato di milioni ma pur con questi amplissimi limiti, quanti?

Due, tre, quattro, cinque ecc.: ogni risultato sarebbe stato possibile, e così è stato, «Le fragole» hanno raggiunto una cifra altissima e nessuno può menarne scandalo. Finora il record positivo era di 6 milioni di euro oltre i diritti («La fontaine», olio su tela, 50x43 cm, venduto presso Christie’s nel novembre 2021). Il record negativo invece di euro 2.914: «Piatto con prugne e margherite», olio su tela, 31x39 cm, venduto presso Roland New York nel gennaio di quest’anno. L’escalation tra minimo e massimo è stupefacente: il secondo è di duemila volte superiore al primo! E questo perché nelle aste di dipinti non esiste il correttivo che opera nel mercato dei titoli azionari.

In questo, le quotazioni non possono eccedere limiti di rialzo o di ribasso determinati, volta per volta, dai commissari di Borsa e questi possono, in un caso o nell’altro, sospendere le quotazioni che salgono o discendono troppo rispetto al dato di partenza. Questo spiega perché, rispetto ai mercati, in contrapposto allo scambio secondo canoni di razionalità è stato considerato, da Fernand Braudel (1902-89), uno scambio del tutto irrazionale, che il grande storico definì come «contromercato».

E Guido Rossi (1931-2017), giurista ed economista insigne che aveva anche l’hobby di raccogliere dipinti (ho visto la sua raccolta ed era non solo di altissima qualità ma anche esempio di straordinaria capacità selettiva), quando, in un convegno al quale ho partecipato anch’io (organizzato nel novembre 1990 dalla Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino) trattò il problema del valore dei beni culturali, fece riferimento appunto al contromercato, del quale parla Braudel. Secondo lo studioso, in altri termini, il mercato dell’arte era del tutto svincolato da qualsiasi regola di ragione e quindi doveva essere accettato nei suoi risultati, qualunque essi fossero.

Io, in quell’occasione, sostenni che il mercato dell’arte, fondamentalmente, non si discosta da ogni altro tipo di scambio: si fonda, in altri termini, su un «arbitrio temperato», come l’assolutismo è controbilanciato dal «tirannicidio». Indicai anche delle regole che normalmente governano le fluttuazioni nella stima dei beni culturali: la qualità dell’opera, la certezza dell’autografia, lo stato di conservazione, la significatività culturale. E rammentai, al riguardo, come il grande poligrafo napoletano Abate Ferdinando Galliani avesse dimostrato, nel secolo dei lumi, che anche il mercato del grano (bene di prima necessità) non segua regole di natura, perché approda a un «prezzo amministrato» (Dialogue sur le commerce des blés).

Oggi, riflettendo sull’argomento oltre trent’anni dopo, non so se confermerei le stesse opinioni: sarà che lo scetticismo matura con l’età e condiziona ciascuno di noi, portandolo dalle certezze giovanili al dubbio profondo dell’età matura.

«Le panier de fraises des bois» di Jean-Siméon Chardin (1699-1779)

Fabrizio Lemme, 21 maggio 2022 | © Riproduzione riservata

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