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Alessia De Michelis
Leggi i suoi articoliUn gesto minimo, quasi impercettibile, all’interno di un’opera può cambiare il modo in cui la leggiamo. È questa la conclusione di una ricerca di storia dell’arte sperimentale condotta dall’Università di Vienna e pubblicata il 16 dicembre sulla rivista accademica «Psychology of Aesthetics, Creativity, and the Arts», che indaga per la prima volta in modo empirico l’effetto dei gesti di indicazione nei dipinti Old Master.
Da secoli, artisti e storici dell’arte danno per scontato che le dita puntate in una direzione specifica, diffusissime nella pittura narrativa tra Cinque e Seicento, servano a guidare lo sguardo dell’osservatore verso i punti cruciali della scena. Ma che cosa accade davvero quando guardiamo un Caravaggio, un Raffaello o un Rembrandt? La studiosa francese Temenuzhka Dimova, specialista del linguaggio dei gesti, ha affrontato la questione con strumenti di eye-tracking, analizzando le traiettorie visive di diversi gruppi di osservatori. Il metodo è stato tanto semplice quanto rivelatore: una selezione di dipinti con più mani indicanti è stata mostrata in versione originale e in un corrispettivo privato digitalmente di questi elementi (come «I giocatori di carte» di Theodor Rombouts).
Il confronto tra i movimenti oculari ha evidenziato differenze nette. Paradossalmente, le dita attirano poca attenzione diretta; ciò che cambia radicalmente è il modo in cui vengono esplorati i volti dei personaggi che indicano. Le loro identità e le espressioni emotive diventano centrali nella costruzione del significato. Anche le aree indicate ricevono maggiore attenzione, ma senza un esito univoco: lo sguardo può deviare verso elementi vicini, mostrando come il gesto non imponga una lettura rigida. Piuttosto, riorganizza l’intera esperienza visiva, creando connessioni narrative inattese tra figure e oggetti.
Il gesto indicante, dunque, non conduce semplicemente l’occhio da un punto all’altro, bensì riscrive la percezione della narrazione racchiusa nel dipinto. Una scoperta che apre nuove prospettive per l’allestimento museale, l’educazione visiva e, più in generale, per comprendere come le immagini costruiscono senso attraverso dettagli apparentemente secondari.
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