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Franco Broccardi
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Non so se qualcuno ha mai visto un vecchio spot Fiat che annunciava l’arrivo dell’allora nuova 500L sul mercato americano: «the italians are coming». Se non l’avete in mente cercatelo (si trova facilmente su YouTube) perché vi darà un’idea dell’enfasi con cui è stato salutato l’annuncio della riduzione dell’Iva sui trasferimenti delle opere d’arte e dei beni di antiquariato e da collezione: invincibile competitività e un mercato senza più limiti immaginabili.
Anche meno, in realtà, perché un’aliquota agevolata è semplicemente la condizione necessaria ma non sufficiente per tutto questo. È un passaggio che doveva essere fatto, non la meta.
È passato ancora troppo poco tempo dall’1 luglio, data di entrata in vigore del decreto-legge che ha portato al 5% l’imposizione sulla filiera artistica, per avere riscontri affidabili sugli effetti della novità. Qualche considerazione generale e qualche precisazione però è possibile farle.
1. Non parliamo solo dell’attività delle gallerie. L’intervento normativo è molto più ampio e riguarda, giova ricordarlo perché nessuno ne parla, anche le vendite dirette dall’artista. Così come tutti gli scambi di beni da collezione tipo francobolli e monete. O le meno rinomate collezioni zoologiche, botaniche, mineralogiche, anatomiche (non approfondite il tema, è meglio) o come esemplari «di interesse paleontologico o etnografico».
2. Non parliamo delle attività delle case d’asta visto che in quel caso si parla di intermediazione e non di cessione.
3. Il regime del margine è ancora applicabile come alternativa all’aliquota ridotta. Per chi lavora con margini bassi rimane il regime più conveniente e quindi ognuno si dovrà fare i propri conti.
4. Una condizione necessaria (ma non sufficiente) per un evento A è qualcosa che deve essere vera affinché A possa verificarsi, ma non garantisce da sola che A accada.
Ecco, abbassare l’aliquota al 5%, dicevo, è un passo necessario ma che da solo non basta. È quella cosa che ci fa dire che le scuse sono finite e adesso potremo verificare il grado di maturità del settore. Qualche tempo fa avevo titolato un mio articolo «Iva is the new black». Senza ombra di dubbio fatturare al 5% anziché al 22% è differente e l’agevolazione è un passo nella lotta all’evasione ma soprattutto l’opportunità, per un settore che vive in un modo globale di crescere, essere competitivo a livello internazionale, essere attrattivo.
Ma non dimentichiamoci dell’imposte sui redditi, ad esempio. Non dimentichiamoci di qualche retaggio culturale che faticherà a morire. Non dimentichiamoci che il sistema non è fatto solo dagli operatori e dagli artisti top level ma da migliaia di operatori che comunque faticano e quotidianamente devono far quadrare i propri conti tra affitti e personale. È qui che aspettiamo di capire i risultati. Perché se no rischiamo di dover dare ragione a chi attacca dicendo che si è favorito un settore non essenziale.
Ecco, l’arte è un bene primario, essenziale, quando è impegno, quando è valore sociale. E favorirne la produzione e la circolazione, utilizzare la leva fiscale per far sì che questo accada, non può essere solo una manovra protezionistica e di difesa ma deve, invece, essere l’incentivo a diffondere la cultura. È questo il senso della proposta che con Federculture abbiamo presentato al ministro Giuli alla fine dello scorso anno e al ministro Giorgetti nell’aprile 2025.
Assieme alla riduzione dell’aliquota sul comparto artistico abbiamo chiesto di immaginare un’uniformità di trattamento per tutte le attività culturali. Che l’aliquota del 5% possa valere per tutto il settore: editoria, teatro, musei, editoria, musica, in modo da creare le condizioni di uno sviluppo dal basso della domanda culturale e di cui il settore artistico deve essere motore.
Certamente dobbiamo fare i conti con la lentezza della macchina burocratica. Se è vero che siamo diventati il Paese con l’aliquota più favorevole sulle transazioni di opere d’arte è anche vero che altri, la Francia in primis, hanno reagito con più prontezza alle opportunità che si sono sviluppate sul mercato, in primis la Brexit. E si sa che posizionarsi per primi in ogni mercato è fondamentale per definire rendite di posizione.
C’è da fare ancora, quindi. Ci sono da aggiungere altre condizioni:
1. In primis, da parte della politica, mantenere le promesse di intervento su notifiche ed esportazioni.
2. Fare chiarezza sul tema transazioni tra privati ora esenti e fonti di un notevole contenzioso.
3. Da parte degli operatori, poi, accettare la sfida che il nuovo mercato pone, imparando dalle best practice straniere, alzando il livello, rendendo il sistema limpido, premessa fondamentale perché la finanza possa leggere l’affidabilità di un settore che di questa ha bisogno.
Italians are on the road. Nella giusta direzione. Se arriveranno dipenderà parecchio da loro.