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Stefano Miliani
Leggi i suoi articoliAvete in mente gli ingorghi umani che intasano alcune calli di Venezia o vie del centro di Firenze, e di Barcellona? Il turismo è un’industria in espansione, non investe solo le città d’arte e può avere effetti dirompenti. Scardina numerosi luoghi comuni e raccoglie una mole impressionante di informazioni il libro inchiesta della giornalista Cristina Nadotti intitolato Il turismo che non paga (prefazione di Ferdinando Cotugno, pp. 240, Edizioni Ambiente, Milano 2025, € 19). Nata a La Spezia nel 1961, sarda d’adozione, l’autrice vive a Roma e, dopo aver lavorato alla «Nuova Sardegna», è stata a «Repubblica» dal 2000 al 2024. Del libro parliamo con Nadotti, che ricorre alle opinioni e alle voci di esperte ed esperti con occhio critico e, al contempo, non si lancia in alcuna crociata anti turismo.
Nadotti, lei scrive di città d’arte antropologicamente modificate e di paradisi naturali «incontaminati» ormai devastati dall’industria turistica. È corretta la stima secondo cui il turismo è un pilastro dell’economia italiana con il 13% del Pil?
La stima è corretta se si considera, però, che il turismo è l’insieme di più settori, per cui dire che si può vivere di turismo è comunque inesatto. Inoltre, se si parla soltanto di Pil non si tiene conto delle esternalità negative. Un esempio: a fronte dei milioni di turisti che il nostro patrimonio culturale attrae, quanto del giro di affari poi è reinvestito per prendersene cura? Nei calcoli elaborati sui dati Istat da Paolo Figini, professore all’Università di Bologna specializzato in Economia del turismo, i 255 miliardi di euro che l’economia italiana riceve dalla spesa dei turisti si riducono, in base a varie considerazioni, a circa 98 miliardi.
È possibile inquadrare il fenomeno con una formula sintetica come «overtourism», termine peraltro piuttosto recente?
In realtà il termine coniato dalla rivista americana «Skift» ha circa 10 anni, ma l’Organizzazione mondiale del turismo (Omt) mette in guardia dalle conseguenze del sovraffollamento già dal 1983. L’Omt definisce l’overtourism come «l’impatto del turismo su una destinazione, o su parti di essa, che influenza eccessivamente in modo negativo la qualità percepita della vita dei cittadini e/o la qualità delle esperienze dei visitatori».
Nel libro scrive come spesso le comunità locali dal turismo non traggano guadagno, ma anzi ci rimettano... Ricorda ad esempio che nell’aprile del 2024 il presidente regionale di Federalberghi Sicilia Nico Torrisi esclamò: «Non possiamo chiedere ai turisti di razionare l’acqua». Causa siccità invece molti siciliani spesso devono razionarla.
Se vogliamo parlare di impatti sulla vita quotidiana è evidente che, in una famiglia in cui nessuno guadagna da uno dei settori interessati dal turismo, ci saranno soltanto disagi: servizi come la nettezza urbana o la sanità insufficienti, prezzi che aumentano, trasporti e strade affollate. Lungo le coste del Mediterraneo l’aumento della popolazione in alta stagione genera fino a 180 litri di acque reflue per turista al giorno, la produzione dei rifiuti aumenta fino al 30%, la spazzatura portata dal mare anche del 40%...

Una veduta di Venezia a maggio 2024. Photo: Stefano Miliani
Nelle città d’arte come Firenze o Venezia, le case solo per turisti rendono impossibile trovare un affitto anche per chi lavora. Nel libro si ricordano i calcoli del «Sole 24 Ore» secondo i quali oggi a Roma un bilocale da 350mila euro con l’affitto breve rende oltre 7mila euro l’anno in più rispetto a uno a lungo termine. Qualcuno interviene con norme o leggi?
Ci provano in tanti. L’esempio più interessante in questo momento mi sembra il nuovo regolamento del Comune di Firenze che, per le locazioni turistiche, introduce requisiti minimi di abitabilità più stringenti in confronto a quelli per gli affitti di lunga durata. Il problema è che le leggi comunali o regionali sono poi impugnate a livello nazionale. Per questo insisto che sono indispensabili una programmazione e una regolamentazione nazionali.
Il numero chiuso, la tassa di soggiorno o il biglietto d’ingresso adottato da Venezia per numerosi giorni l’anno hanno effetti benefici? Possono funzionare?
A mio parere no, anche perché, se alcuni dei luoghi più visitati sono anche Patrimonio mondiale Unesco, è giusto che tutti ne possano godere. Le misure vanno prese a monte, prima dell’arrivo in alcuni luoghi. Bisogna, per esempio, impedire la costruzione di nuovi poli crocieristici vicino a queste località, è indispensabile fare promozione in maniera più mirata, o addirittura non farla, come ha deciso Amsterdam; bisogna istituire un sistema premiante se si decide di visitare Venezia o Firenze fuori stagione, un sistema che non implica soltanto i prezzi da «bassa stagione» per le camere degli hotel. Siena con il suo piano turistico, per esempio, ha puntato proprio su questo sistema di premi per chi decide si soggiornare fuori città e sta facendo programmazione pensando a un’area molto più vasta rispetto al solo nucleo urbano.
Vivono pesanti contraddizioni anche zone naturali come la stupenda spiaggia di Stintino nel Nord della Sardegna, le Dolomiti o le Cinque Terre.
Sia chiaro, i primi a voler incrementare le presenze turistiche nei loro territori sono stati gli abitanti. Per questo sottolineo che a monte non può esserci soltanto l’iniziativa privata, ci devono essere politiche di amministrazione del territorio che tengano conto del guadagno e delle perdite che ogni attività industriale, e il turismo lo è, comporta.
Nel libro il sociologo dell’università di Torino Filippo La Barbera si scaglia contro il «piccoloborghismo» che non salverà i paesi. Quello dei borghi «autentici» è un mito mediatico?
Sì. Un borgo è autentico se le persone ci vivono e sviluppano anche attività che non hanno nulla a che vedere con il turismo. Non a caso il turismo non serve a salvare dallo spopolamento. Si guardino località come Rasiglia, una frazione a 18 chilometri da Foligno in Umbria scoperta da un utente di Instagram nel 2010, o Civita di Bagnoregio nel Lazio settentrionale: è vero che il turismo ha aiutato ad aprire locali (principalmente ristorazione e alloggio) in questi paesi, ma la gente non ci vive. Sono più dei «paesi museo» che dei borghi abitati. Però qualcosa si muove e lo dimostrano esempi come quello di Ostana, in provincia di Cuneo, oppure Gagliano Aterno, in Abruzzo.
Nel libro si dichiara contraria alle «barricate contro i turisti» e al turismo «mordi e fuggi» a favore di élite danarose; allo stesso tempo, afferma che «il problema non sono i turisti, né i proprietari» bensì uno «sviluppo incontrollato di un’industria che per svilupparsi deve modificare in maniera radicale l’ambiente». Come se ne esce? Che cosa proporrebbe, e che cosa propongono gli esperti consultati?
Finché il turista sarà considerato soltanto qualcuno che compra è assai difficile uscire da questo meccanismo. Il turismo che non paga è quello del nostro attuale sistema economico basato sul consumismo sfrenato: tra ciò che si consuma ci sono, appunto, i territori, con tutto quel che implicano. Non ci sarà cambiamento senza un’azione politica che rimetta al centro le comunità ospitanti e non i turisti. Sarà indispensabile, inoltre, una nuova forma di contrattazione tra cittadini e imprese turistiche, che preveda forme di compensazione quando un territorio viene sfruttato a fini turistici.

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