Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Giorgio Bonsanti
Leggi i suoi articoliIl restauro è un’attività che presenta una serie di quesiti, che richiedono di essere attentamente considerati e approfonditi prima di procedere dall’una all’altra fase delle operazioni. È per questa ragione che la definizione di restauro che ho elaborato ormai una ventina d’anni fa chiarisce subito che si tratta di un’operazione materiale; un accertamento da cui discende una catena di conseguenze. La pratica delle cose ci dice che comunemente una persona priva di conoscenze specifiche all’udire il termine «restauro» penserà quasi automaticamente a un quadro, magari anche a una statua, o a un monumento di architettura. Sono le classificazioni tradizionali e quasi esclusive che hanno trovato stanza negli studi del Novecento, e che hanno caratterizzato le collezioni museali e le esposizioni d’arte.
Progressivamente, seguendo l’avanzamento degli studi e la loro definizione sempre più orientata ad acquisire alla cultura nuovi ambiti delle attività umane caratterizzati da creatività, significanza storica, qualità di saperi, l’attenzione si è rivolta anche alle arti minori, quasi sempre accompagnate nella menzione dall’aggettivo «cosiddette», a segnalare che non esiste una gerarchia fra le arti; noi oggi ne siamo convinti, ma per diversi secoli le gerarchie fra «arti maggiori» e «arti minori» sono esistite, eccome.
Al momento di dover precisare l’oggetto della propria attenzione, il legislatore del 1939 (mi riferisco alla legge di tutela n. 1089 di quell’anno) ha imboccato la strada abbastanza critica dell’elencazione, scrivendo all’articolo 1 che «Sono soggette alla presente legge le cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, compresi: a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; b) le cose d’interesse numismatico; c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità e di pregio. Vi sono pure compresi le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico».
Più modernamente, la legge di tutela conosciuta come Codice Urbani, del 2004, ha precisato che: «Sono beni culturali le cose immobili e mobili che […] presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà».
Bottega meridionale, Reliquiario a tabella, XVIII secolo dopo il restauro (particolare)
Manifattura arbëreshe, abito tradizionale festivo femminile di San Paolo Albanese, XIX-XX secolo
Il progresso dall’elencazione puntuale nella legge del 1939 alla «testimonianza avente valore di civiltà» del 2004 è apprezzabile, ancor più se si tiene conto che la Carta del Restauro del 1972, un documento tra i fondamentali del Novecento, seguiva un modello ormai sorpassato, precisando quale oggetto della tutela «tutte le opere d’arte di ogni epoca», e si rivelava talmente affezionata alla dicitura di «opere d’arte» da prevedere sì anche, ad esempio, i reperti paleolitici, ma soltanto come sottogruppo delle «opere d’arte» appunto.
Si dava avvio così a un allargamento dell’ambito della tutela tale da comprendere espressioni di cultura nel senso più ampio, al pari di testimonianze «aventi valore di civiltà». Acquistavano il diritto a essere protetti dall’azione legislativa anche oggetti materiali validi unicamente per la loro qualità di testimonianza storica ritenuta significativa, e addirittura oggetti immateriali, quali la musica, anche nelle sue espressioni più popolari, insieme alle tradizioni orali. È questo, per sommi capi, il percorso seguendo il quale si è pervenuti al concetto contemporaneo globale e comprensivo di Bene culturale tutelabile, infinitamente più inclusivo di quando si iniziò, secoli addietro, a immaginare l’opportunità di proteggere «cose» speciali. Naturalmente, occorre aver chiaro che il restauro non si propone di riportare un oggetto all’antico splendore, che il passaggio dell’opera attraverso il tempo è un valore positivo e comunque incancellabile, e che la finalità è quella di mettere l’oggetto nelle migliori condizioni per proseguire onorevolmente il proprio percorso di vita, sapendo che, anche per esso, ci sarà un momento terminale, che si cercherà di posporre per quanto possibile. Il tutto senza però stravolgerne l’identità.
La domanda «perché si restaura» dovrà essere ben chiara nella considerazione del restauratore; ogni passaggio dell’intervento dovrà tenere fisso davanti a sé questo interrogativo, perché sono le risposte che vi si offrono a indirizzare le metodologie del restauro che caratterizzeranno l’intervento. Sono i presupposti teorico-metodico-normativi in base ai quali questa edizione 2025 di Restituzioni presenta dopo il restauro, accanto ai dipinti di Giovanni Bellini, Luca Giordano o Fra Galgario, opere come (e vado elencando senza un ordine): due barche (una siamese, l’altra italiana antica); un arpicordo del 1544; una strumentazione scientifica (macchina planetaria) della seconda metà del XIX secolo; una draisina, antenata delle biciclette; una portantina del XVIII secolo; due abiti femminili dell’epoca Charleston; un letto di età romana (II-I secolo a.C.); un trono ottocentesco dal Palazzo Reale di Napoli; un costume delle comunità albanesi in Italia del XIX-XX secolo; insieme con molti altri manufatti che comunque coprono un panorama vasto e differenziato di svariati oggetti di culto e d’uso. Si tratta di testimonianze preziose dei saperi tecnici e artigianali del passato del nostro e di altri popoli (la pianeta e la stola messicane in piume di colibrì, da Santa Maria in Vallicella a Roma), e prodotti di questa natura in realtà hanno sempre ricevuto attenzione nelle varie edizioni di Restituzioni.
Estratto dal catalogo Allemandi
Orafo valdostano (?), Cassa reliquiario del corpo di sant’Orso, 1358-59 dopo il restauro. Photo: Giorgio Olivero, 2025
Fondo di barca lignea «cucita», Corte Cavanella II, metà del II-fine del I secolo a.C. dopo il restauro
Altri articoli dell'autore
Qualcuno avrebbe preferito una chiesa di nuova progettazione al posto della prima, riaperta dopo il terremoto del 2016, così come qualcuno oggi vorrebbe un edificio moderno al posto della dell’edificio in parte crollato a Roma
Ritrovati nel 2013, i dipinti che il pittore realizzò in occasione dell’Esposizione romana del 1911 sono stati restaurati presso l’Istituto Centrale del Restauro: Laura D’Agostino e Paola Iazurlo hanno dedicato un libro all’artista e al delicato intervento
Aperto per restauri • Nel mestiere più bello del mondo il «fattore umano» sarà scalzato dall’IA? Speriamo tanto di no
Aperto per restauri • Diagnosi sul restauro da restaurare di Giorgio Bonsanti, già professore all’Università di Firenze



