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Bottega francese, Madonna con il Bambino (Madonna del Fiore), 1285-89 ca (particolare)

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Bottega francese, Madonna con il Bambino (Madonna del Fiore), 1285-89 ca (particolare)

Progetto Restituzioni • La solida tradizione italiana di tutela ha origini antiche

Opere e manufatti bisognosi di cure e provenienti da borghi e territori diversi raccontano in mostra la varietà dei contesti culturali del Paese e l’evoluzione di un’idea di bene culturale sempre più ampia e partecipata 

Il progetto Restituzioni 2025 si presenta in mostra con 117 opere d’arte e oggetti a valenza patrimoniale che illustrano l’infinita varietà del patrimonio culturale italiano. Accomunate dalla evidente necessità di essere sottoposte a interventi conservativi, le opere - in accordo con le Soprintendenze - sono state selezionate tra le numerosissime proposte delle istituzioni proprietarie oltre che per le non ottimali condizioni di conservazione anche in base alla loro diffusa distribuzione territoriale.  

L’esposizione ordina dunque opere appena restaurate che, in attesa di ritornare nei luoghi di provenienza, si trovano insieme a sviluppare un dialogo tra varietà e diversità: diversità tipologiche e materiali (dipinti, sculture, disegni, abiti, apparati religiosi, arredi architettonici e scenografie; oreficerie arazzi, in tela, pietra, cotto, avorio, osso, legno, stoffe, piume, carta e altro); diversità cronologiche (dalle prime testimonianze archeologiche, a partire dal 1400 a.C., alle opere del XX secolo, con ampia presenza di Rinascimento e Barocco); diversità di contesti culturali, specchio di un’Italia nella quale ogni area ha sviluppato un suo modo di rappresentare l’espressione artistica proprio della sua cultura nell’avvicendarsi dei secoli; e diversità, infine, che attiene strettamente al concetto di bene culturale, divenuto ormai nel corso degli ultimi decenni sensibilmente più ampio, inclusivo e partecipato di quanto non fosse fino a qualche decennio fa. 

Varietà e diversità si possono apprezzare anche nell’ordinamento espositivo, non cronologico, non tipologico, ma condotto con accostamenti intriganti per affinità e vicinanza, o per contrasto e differenza, prestandosi a raffronti sorprendenti, da scoprire man mano che si percorrono le sale. Ad esempio, sono esposti uno accanto all’altro la prima e l’ultima opera in ordine cronologico della rassegna, cioè un frammento di papiro, ritenuto del XV secolo a.C., e l’opera «Requiescat» di Pino Pascali (1965), mentre, significativamente, nella sala nella quale è concentrato il maggior numero di oggetti archeologici si trovano anche i bozzetti di Massimo Campigli e Mario Sironi, eseguiti in occasione del concorso per la decorazione dell’atrio di palazzo Liviano a Padova, concorso avente a oggetto il tema della continuità della cultura classica nella cultura moderna (1938). Associati per tipologia, ma opposti, sono vicini i due abiti da sera charleston, neri e raffinatissimi, e l’abito tradizionale della donna di popolazione arbëresh, proveniente da San Paolo Albanese; così come l’eccezionale, rarissima e preziosa carpita alla moresca tessuta da Nicolas Karcher su disegno del Bronzino è direttamente affrontata all’apparato scenografico devozionale a cartelami, di chiaro sapore popolare. 

Manifattura napoletana e Giacinto Diano, Portantina Ruffo, seconda metà del XVIII secolo. Photo © Mauro Magliani Fotografia

Ricordiamo a proposito della definizione di bene culturale, così come maturata ai nostri giorni, che la solida tradizione italiana di tutela ha origini antiche, e che gli Stati preunitari, in particolare lo Stato pontificio, consapevoli dell’importanza e della irripetibilità di opere d’arte, beni archeologici e monumenti, elaborano a partire dal Settecento concreti provvedimenti volti alla loro protezione. L’Italia unita fa propria la necessità di evitare dispersione e distruzione di quanto ereditato, e ai primi del Ventesimo secolo avvia il percorso normativo che dalle prime due leggi per la «tutela delle cose d’interesse storico e artistico» e per la «tutela delle bellezze naturali» conduce all’attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004. Il Codice aggiorna definizioni e concetti, recependo finalmente la dichiarazione 1 della Commissione Franceschini (Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, conclusa nel 1967), secondo la quale il patrimonio culturale della Nazione include i «beni di interesse archeologico storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario, e ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà». Per quel che attiene a questo nuovo e ampliato concetto di bene culturale la formulazione del Codice è strettamente collegata anche alle elaborazioni provenienti dall’intenso confronto internazionale di quel decennio, in particolare nell’ambito del Consiglio d’Europa; ma dal confronto con gli altri popoli europei discendono altri importanti novità che si affacciano nella cultura italiana all’inizio del nostro secolo, e che riguardano il soggetto titolato al processo di patrimonializzazione e le finalità alle quali la conservazione del patrimonio culturale è indirizzata.

Negli stessi anni del Codice vengono firmate infatti la Convenzione Europea del Paesaggio (2000) e la Convenzione di Faro. Nella prima si attribuisce valore al paesaggio in relazione alle persone e al loro benessere presente e futuro, in quanto «il paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale e costituisce una risorsa favorevole all’attività economica» e allo sviluppo sostenibile della società. All’articolo 1, poi, la Convenzione definisce Paesaggio «una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni». 

Quel «così come è percepita dalle popolazioni» dà alla Convenzione un forte connotato partecipativo, del tutto inedito per le abitudini italiane, che coinvolge direttamente, senza mediazioni, le popolazioni e le loro sensibilità nei confronti del territorio in cui vivono. Analogamente, la di poco successiva Convenzione di Faro, «Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società», adottata dal Consiglio d’Europa nel 2005, definisce il patrimonio culturale con il concetto ampio di «insieme di risorse ereditate dal passato», affidando alle persone l’individuazione di beni, manufatti, oggetti, luoghi, tradizioni dei quali, in quanto rappresentativi dei valori nei quali la comunità si riconosce, i cittadini hanno il diritto di occuparsi direttamente. Il processo di riconoscimento nasce dal basso, dalle «Comunità di patrimonio» le quali, lavorando in accordo con le istituzioni pubbliche, si fanno interpreti del sentimento comune, impegnandosi ad agire per la conservazione e fruizione dei beni individuati come eredità culturale, con l’obiettivo di contribuire alla costruzione di una società inclusiva e sostenibile per il presente e il futuro

Frammento papiraceo con formule/capitoli del Libro dei Morti, Epoca Tolemaica, 332-30 a.C. (MCABo EG 3165), Regni di Thutmose III e Amenhotep II. © MCABo/Studio Gonella, Torino

Al modello autoritativo italiano, che assegna all’autorità pubblica statale – attraverso le disposizioni di legge - l’individuazione e la tutela di opere d’arte e oggetti di particolare rilevanza culturale per garantirne la conservazione, si aggiunge quindi una modalità «leggera», dal basso, esercitata dalle persone, dai cittadini, che si adoperano con la loro azione per la protezione di beni, oggetti, luoghi considerati patrimonio dalla comunità. E così i «beni culturali», nel continuo processo di inclusione, assumono ormai la definizione allargata di «patrimonio» o meglio «eredità culturale». In quanto alle finalità, oltre a quella della conservazione e valorizzazione dei beni, la Convenzione evidenzia con forza come lo sviluppo della società e la qualità della vita siano l’obiettivo delle azioni di conservazione e uso sostenibile dell’eredità culturale. 

La ratifica italiana della Convenzione europea del Paesaggio è del 2006, quella della Convenzione di Faro del 2020, ma nel frattempo i principi e le idee si sono diffusi, dando luogo a sperimentazioni applicative e collaborazioni tra cittadini associati e Comuni, Musei, Soprintendenze, Enti ecclesiastici e altri soggetti. Il mondo della partecipazione è in fermento, in continua crescita, e sempre più ricco di esempi positivi e buone pratiche, come registrato anche nella ricerca compiuta dalla Scuola nazionale del patrimonio e delle attività culturali tra il 2022 e il 2024, dalla quale risulta però anche che la vitalità delle Comunità di patrimonio non sempre è corrisposta dai soggetti pubblici con i quali devono rapportarsi, né supportata e facilitata da una normativa ancora troppo poco flessibile sul tema.

La Convenzione di Faro è anche il riferimento fondamentale per quella che è l’applicazione più estensiva ed efficace del fenomeno partecipativo, il programma biennale «I Luoghi del Cuore» varato nel 2003 dal FAI - Fondo per l’Ambiente Italiano con il sostegno di Intesa Sanpaolo. Il diffusissimo e crescente interesse all’eredità culturale da parte degli italiani è dimostrato in primo luogo dalla crescita progressiva del numero delle persone che hanno voluto indicare il loro monumento, paesaggio, ma anche oggetto simbolico, collezione o altro come «luogo del cuore»: se nella prima edizione del 2003 i voti sono stati 24.200, in quella del 2024 gli italiani che hanno votato hanno raggiunto il numero davvero stupefacente di 2.317.000, mentre in dodici edizioni i luoghi votati sono arrivati complessivamente a 39.000. Nella valutazione degli impatti del programma, realizzata dal FAI con Fondazione Santagata in occasione del ventennale, emerge come sia l’Italia dei piccoli centri e delle aree interne – quella a rischio di sparizione per spopolamento, ma ancora ricca di luoghi e tradizioni radicati nell’affetto degli abitanti – che risponde di più e con determinazione al censimento biennale. Si tratta della testimonianza di una vera necessità sociale, nella quale è centrale la visione di un futuro in armonia con il patrimonio culturale, visto anche come perno per azioni di sviluppo sostenibile; in questo contesto i Comitati FAI per la raccolta dei voti diventano vere Comunità di patrimonio, sollecitando attenzione e finanziamenti da parte delle autorità pubbliche, in particolare i Comuni, in quanto responsabili delle politiche territoriali. 

Mario Sironi, bozzetto preparatorio per l’affresco di Palazzo Liviano, parete maggiore, 1938. © Università degli Studi di Padova - Courtesy of University of Padua. Photo © 2025 Lucia Tarantola

Piccoli Comuni e Comuni compresi all’interno della Strategia nazionale per le aree interne sono rappresentati anche in questa rassegna di Restituzioni: un esempio tipico, tra l’altro compreso tra i luoghi del cuore FAI votati in diverse edizioni, è quello di Lugnano, piccolo borgo frazione di Rieti, dove i residenti sono circa 50: la raffinatissima Madonna del Fiore del tardo duecento, in avorio intagliato e policromato è l’opera simbolo della piccola comunità non solo sotto il profilo storico-artistico, ma anche devozionale.

Un coloratissimo abito tradizionale festivo femminile, ricamato con fili oro e argento, applicazioni in madreperla, tessuto laminato e altre preziosità è qui l’ambasciatore delle tradizioni tutt’ora vive del popolo arbëresh, gli albanesi arrivati in Italia tra il XV e il XVI secolo e ancora presenti in più parti nelle regioni del Sud. Il Comune di provenienza del costume è San Paolo Albanese (Potenza), che conta oggi circa 207 abitanti. Borgo medievale immerso nel paesaggio intatto della valle dell’Aniene, Anticoli Corrado, circa 860 abitanti, è noto come il borgo degli artisti e delle modelle; una comunità tradizionalmente accogliente, nella quale la bellezza delle donne e il fascino del luogo attirarono tra Otto e Novecento decine di artisti tra i quali, appunto, gli autori delle opere accolte in Restituzioni. Il cartelame è un apparato effimero dal linguaggio scenografico e illusionistico, realizzato in cartone, tela dipinta e supporto ligneo, tipico dell’area ligure e piemontese. Da Marene (Cuneo), circa 3.300 abitanti, arriva il raro cartelame con la Deposizione di Cristo, testimone di una particolare sensibilità ai riti della settimana santa, sentiti all’interno della comunità.

Diverse altre piccole comunità sono rappresentate in questa edizione di Restituzioni con opere figlie della loro religiosità, delle tradizioni, della storia unica che le fa tutt’uno con un contesto storico-culturale e sociale ancora non del tutto esplorato. Non ci resta, allora, che scoprirle. 

Pietro e Giovanni Alemanno, Madonna con il Bambino, 1480 ca, Capua (Ce), cattedrale, dopo il restauro. Photo © G. Panza

Carla Di Francesco, 08 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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