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Una delle scene conclusive della festa dei sei giorni dell’Orgien Mysterien Theater di Hermann Nitsch nel Castello di Prinzendorf: monumentale azione che l’artista progettò e diresse nel 1998. Nell’immagine: la processione del pomeriggio dove tutti gli attori che hanno preso parte all’evento sfilano lungo i campi al suono di una banda

© Foto Cibulka-Frey

Una delle scene conclusive della festa dei sei giorni dell’Orgien Mysterien Theater di Hermann Nitsch nel Castello di Prinzendorf: monumentale azione che l’artista progettò e diresse nel 1998. Nell’immagine: la processione del pomeriggio dove tutti gli attori che hanno preso parte all’evento sfilano lungo i campi al suono di una banda

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Pittore e teatrante, sciamano e sacerdote: Hermann Nitsch è ancora vivo

Al padre dell’Azionismo viennese scomparso nel 2022, artista controverso e contestato per le sue performance estreme, sono dedicati ben due musei. Una grande mostra è in corso e un grande evento è in programma il 7, 8 e 9 giugno

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Alessandra Mammì

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È già raro che un intero museo venga dedicato a un artista vivente. Figuriamoci poi se a celebrarlo in vita ne arrivano addirittura due. Ma questo è il caso di Hermann Nitsch, padre dell’Azionismo viennese, scomparso nell’aprile del 2022, artista controverso, contestato, perseguitato nello scorso secolo da denunce, processi e persino arresti per le sue performance estreme, che ha tagliato il nastro di ben due musei: uno nel 2008 a Napoli (Museo Hermann Nitsch, vico Lungo Pontecorvo, 29/d) voluto dal generoso mecenate e collezionista Peppe Morra; l’altro nel 2007 a Mistelbach, idilliaca cittadina a pochi chilometri da Vienna. Sarebbe corretto aggiungere alla lista anche il vicino Schloss Prinzendorf, il castello residenza di Nitsch e della moglie Rita, che a tutti gli effetti è una casa museo nonché sede del Das Orgien Mysterien Theater e delle sue performance passate e future, essendo sua esplicita volontà (stilata in migliaia di pagine di istruzioni dettagliate) che alcune venissero eseguite postume. 

Ed ecco il grande evento in programma il prossimo 7, 8 e 9 giugno, atto conclusivo di una monumentale performance di sei giorni (i primi tre furono messi in scena già lo scorso anno) che l’artista aveva progettato affidandola alla regia di Frank Gassner, collaboratore di lunga data, a Leo Kopp suo figlio adottivo, nonché al massimo esperto della sua musica Andrea Cusumano. Fervono preparativi, risultano già scritturati almeno 70 interpreti, due grandi orchestre, un coro, un’orchestra di rumori e due bande di ottoni. Diecimila litri di vino sono stoccati in cantina. Un generoso menu preparato secondo le rigide istruzioni di Nitsch sarà gestito dall’artista Paul Renner e dovrà sfamare giorno e notte decine di ospiti tra visitatori e attori. Ma la vera anima di tutto questo è Rita Nitsch, compagna del maestro con il quale ha condiviso il pensiero e la vita ed è oggi la più fedele interprete e promotrice della complessità del suo lavoro. È grazie a lei che un’unica, totalizzante esperienza riunirà per tre giorni e tre notti il popolo di Nitsch nella veglia, nel sonno, nella fatica, nel sudore, nel sangue (prevendita biglietti online). Apoteosi di una poetica che ha profondamente segnato la ricerca estetica del XX secolo e che grazie a Nitsch è riuscita a imporsi anche nel XXI. Perché nell’ideale tour «nitschiano» va aggiunto il Wiener Aktionismus Museum che un gruppo di privati collezionisti ha aperto l’anno scorso nel centro della capitale (Weihburggasse, 26) a pochi passi dalla sede della Nitsch Foundation (Hegelgasse, 5) nata per promuovere il suo lavoro attraverso incontri, pubblicazioni, organizzazione degli eventi e mostre di artisti che abbiano avuto rapporto amicale e teorico con il maestro. 

Una delle scene della festa dei sei giorni dell’Orgien Mysterien Theater di Hermann Nitsch nel Castello di Prinzendorf. © Foto Cibulka-Frey

È un angolo della capitale dove si rende il dovuto omaggio al movimento che è forse il più importante contributo dell’Austria alle ricerche del secondo Novecento. Nato dal disagio della generazione postguerra, con intenti radicali e rivoluzionari e in opposizione a una società borghese che si era ricomposta sulla rimozione del Nazionalsocialismo, il movimento ha avuto esponenti che operavano in modo provocatorio, anarcoide, dissacrante e profanatorio verso la religione, la morale, il comune sentire. Ma a sorreggere la qualità del loro messaggio era la forte componente formale, pittorica e performativa che affonda radici nell’Espressionismo, nella Secessione e in tutta la lezione delle avanguardie storiche.

Certamente dei quattro apocalittici cavalieri che hanno dato anima e corpo all’Azionismo viennese, Nitsch è l’artista più complesso e più completo, che non solo è sopravvissuto alla parabola del movimento senza tradirne la poetica, ma ha saputo svilupparne e completarne il percorso. Nel 1971 infatti il gruppo si sciolse. Günther Brus, forse il più poetico e visionario che giocò su una dimensione più intima, dopo un paio di arresti e molte minacce di morte decise di rifugiarsi a Berlino. Rudolf Schwarzkogler, che portò la Body Art all’autolesionismo praticato con ogni materiale possibile (fili elettrici, pesci bendati sul suo corpo, tamponi in gola, ferite sanguinanti, sassi, tubicini e lamette da barba..), morì suicida a soli 28 anni. Il più inquietante e trasgressivo, Otto Muehl, alle azioni contro il comune senso del pudore (defecazioni pubbliche, uso osceno del corpo, uccisione di animali...) aggiunse la creazione di una comunità ispirata a Wilhelm Reich dove predicava libera sessualità, abolizione della proprietà, genitorialità condivisa ma anche cieca obbedienza degli adepti alla figura del fondatore/capo, ovvero lui stesso. Nel 1991 fu condannato a 7 anni di carcere con l’accusa di manipolazione psichica e abusi sessuali contro minori e alla fine della detenzione lasciò l’Austria per trasferirsi in Portogallo dove morì nel 2013.

Nitsch invece non fuggì da nessuna parte. Era sinceramente austriaco fin nell’aspetto e restò legato al suo Paese, recuperandone valori arcaici e ritualità di una cultura agricola primigenia. È l’unico del gruppo capace di suggerire un approccio totale all’arte che raggiunge il mistico attraverso il sacrificio; riesce a fondere l’aspetto pagano e l’aspetto religioso; punta all’atto catartico; non dimentica mai la grande potenza formale e visiva che il rito richiede. Nitsch è pittore e teatrante, sciamano e sacerdote, sa coinvolgere nelle sue azioni attori e spettatori totalizzando il corpo degli uni e la mente degli altri. E li trascina in una grande collettiva «trance» che tocca delle verità assolute: la potenza distruttiva dell’uomo ma anche la rigenerazione attraverso la sublimazione estetica.

Hermann Nitsch. © Foto Cibulka-Frey

Per questo, ben oltre l’Azionismo, il suo pensiero e la sua pratica riescono a parlare a fasce sempre più larghe di pubblico e a convincere persino i più scettici come Karlheinz Essl, potente collezionista, imprenditore e mecenate, che negli anni Settanta lo teneva a distanza e faticava molto a capirne la grandezza. Oggi invece lo vediamo immortalato in amorevole passeggiata con il suo amico Hermann, sui poster lungo il Ring che annunciano la mostra «Mein Nitsch», fino al 20 novembre al Nitsch Museum di Mistelbach.

Un vero e proprio omaggio che Karlheinz gli rende nell’insolita veste di curatore. «L’ho conosciuto nel 1987 durante una delle sue azioni pittoriche, racconta. Non ci siamo più lasciati. Un’amicizia punteggiata di discussioni sull’arte, la filosofia, la natura, l’essenza dell’uomo. Le passeggiate tra i vitigni del suo castello, le conversazioni, le visite ai musei e le sue riflessioni sui grandi maestri del passato sono per me indimenticabili. Quindi ho pensato che dovevo restituire questa immagine di lui, molto lontana dagli stereotipi: Nitsch filosofo, uomo di lettere, musicista, mistico e veggente». E soprattutto un grandissimo pittore, come dimostra la sequenza di quadri che il collezionista/curatore/amico dispone in processione convergente verso un ritratto del maestro alto più di otto metri. Mentre alle estremità dello spazio espositivo troviamo le immagini di una potente azione pittorica del 1996 negli edifici della società di Essl e quelle del (molto originale) funerale progettato da Nitsch stesso come ultima opera, più una stanza meditativa che richiede al visitatore di restare in silenzio, seduto per ben 30 minuti di fronte a un dipinto e poi testimoniare con un breve scritto le proprie sensazioni.

Sarà interessante leggere queste note, soprattutto per capire come mai l’uomo che nasce simbolo di una contrapposizione al sistema diventa poi l’artista austriaco più omaggiato in patria. E non solo in patria: mentre in Francia un’istituzione laica come il Centre Pompidou ha acquistato un gruppo di opere per dedicargli uno spazio permanente nella collezione, il Museo Diocesano di Brescia prepara una sua personale per il prossimo ottobre. 

Ma che cosa ci sta dicendo oggi l’opera di Nitsch? La risposta forse è nelle sue parole: «Voglio mostrare la bellezza del mondo e della creazione che si spinge fino al tragico che conosce l’aggressione, la morte e la crudeltà esattamente come la crescita, la nascita e l’amore. Voglio che il dramma si allarghi fino a divenire una festa. Voglio progettare la festa più bella dell’umanità che non abbia altro pretesto se non la vita stessa...». E in un mondo sempre più contaminato, smaterializzato e digitalizzato questa prorompente realtà appare come una vera rivoluzione.

Hermann e Rita Nitsch

Alessandra Mammì, 06 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

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