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«Natività» (1423) di Gentile da Fabriano (particolare), predella dell’Adorazione dei magi, Galleria degli Uffizi, Firenze

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«Natività» (1423) di Gentile da Fabriano (particolare), predella dell’Adorazione dei magi, Galleria degli Uffizi, Firenze

Piccole storie dal Medioevo intorno al Natale | Se Gesù nasce in un baleno

Un brevissimo riepilogo dell’iconografia della Natività cristiana, dagli albori a quella moderna

Virtus Zallot

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Il nostro presepe (illustrato, allestito o vivente) mostra Maria e Giuseppe adorare il piccolo Gesù e invitare gli accorsi (comparse o spettatori esterni) ad altrettanto. Dedotto dalla raffigurazione di molte Natività, tale schema iconografico non trova tuttavia riscontro nelle immagini più antiche e nelle icone del cristianesimo ortodosso, nelle quali Gesù non è riverito ma accudito. Venuto al mondo come ogni bambino, a dimostrare la vera umanità del Dio incarnato, è infatti lavato e fasciato dalle levatrici e (accostando due momenti successivi) deposto nell’improvvisata culla della mangiatoia.

Prostrata (come tutte le puerpere) dal parto, la Vergine si riposa e tristemente riflette, consapevole del destino del figlio che la fasciatura (con cui si avvolgevano anche i morti) e la mangiatoia (a forma di sepolcro) non mancano di ricordare. Esemplare, tra i molti, è l’affresco (XIII secolo) nell’Oratorio di San Pellegrino a Bominaco. Giuseppe è in disparte: introverso nella postura e nei pensieri afferma visivamente e vistosamente la propria estraneità al concepimento del figlio e, contestualmente, la verginità di Maria. Né gioia né gesti affettuosi accolgono dunque quel bimbo nato come tutti ma diverso, di cui si celebrano il mistero teologico e la divinità.

Solo dopo il XIII secolo, con l’affermarsi di una religiosità più patetica, la madre cominciò ad accorgersi del suo piccolo: a guardarlo, sostenerlo e abbracciarlo, nella Cappella degli Scrovegni (affrescata da Giotto tra 1303 e 1305) con commovente delicatezza. Anche Giuseppe si sciolse, rivolgendosi e accostandosi al bambino e a Maria con fare talvolta premuroso. Nel XIV secolo si avviò invece una più significativa revisione iconografica poiché, letta oramai realisticamente, la normalità del parto pareva sminuire la divinità del neonato. La Vergine stessa, apparendo a santa Brigida di Svezia (grande mistica ma anche madre di otto figli) ne rievocò le circostanze. Non aveva sofferto, raccontò, ma si era inginocchiata in preghiera: il figlio era uscito in un baleno, comparendo a terra splendido di luce. Privo «di ogni macchia o immondizia», non necessitò del bagnetto. Dopo averlo adorato, la madre lo prese in braccio, gli staccò il cordone ombelicale (ma senza che uscisse liquido o sangue), lo fasciò e coccolò. Rientrato (essendosi assentato per non assistere al parto) anche Giuseppe si inginocchiò e lo adorò.

Curiosamente, e con la concretezza che gli derivava dall’esperienza, santa Brigida aggiunse che il ventre di Maria si ritrasse istantaneamente, tanto che il suo corpo ritornò «mirabilmente bello». L’iconografia della Natività accolse questo ed altri racconti mostrando la Vergine per nulla affaticata in adorazione del figlio ancor nudo e posto in terra: talora sopra un panno o su un lembo del suo manto, spesso entro una culla di luce. Giuseppe rimase talora in disparte e assopito, come nella predella dell’Adorazione dei magi di Gentile da Fabriano (1423) presso gli Uffizi di Firenze, dove una delle due levatrici (inutilmente convocate) si è invece accorta dello straordinario prodigio di quel bambino che illumina la notte. Anche nella tavola (1480 ca.) di Piero della Francesca alla National Gallery di Londra Giuseppe è scostato e assorto, mentre un canto di (concretissimi) angeli accompagna Maria che adora il suo bambino. Nella Natività di Defendente Ferrari (1510) al Museo Civico d’Arte Antica di Torino Giuseppe rientra nella capanna e, recando un lume, fa strada alla levatrice. La dolcissima Maria ignora entrambi e, inginocchiata, ammira il suo bambino dagli occhi vispi.

Nel pannello centrale del trittico Portinari, realizzato intorno al 1478 da Hugo Van der Goes e conservato agli Uffizi, Giuseppe si aggiunge all’adorazione che già coinvolge, oltre alla madre, angeli, pastori e (affacciati dai pannelli laterali) i committenti. Con transizione spazio-temporale, in altri esempi sopraggiungono alcuni santi, che adorando quel bambino meditano e ci invitano a meditare. Nei presepi giungono uomini e donne ordinari insieme ai ricchissimi magi: in quelli napoletani una variegata umanità, compresi i vip contemporanei. Entro e fuori dalla finzione scenica, non tutti si inginocchieranno con sincerità.

 

Virtus Zallot, 25 dicembre 2023 | © Riproduzione riservata

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