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Le barriere mobili del Mose sono già state chiuse 50 volte dal 2020

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Le barriere mobili del Mose sono già state chiuse 50 volte dal 2020

Per la prima volta i politici ammettono che Venezia è davvero a rischio

La causa è l’innalzamento del livello del mare: «Entro il 2100 potrebbe sgretolarsi e scomparire. Bisogna pianificare adesso il dopo Mose», dice l’ex sindaco Paolo Costa

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Anna Somers Cocks

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Forse, dopo tutto, c’è speranza che Venezia sopravviva nel prossimo secolo. Il primo giugno, per la prima volta, in una conferenza organizzata dalla nuova Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità (Vsf), alcuni ex politici, ma comunque figure pubbliche di rilievo che conoscono bene la città, hanno ammesso che l’innalzamento del livello del mare è il grande problema che la città deve affrontare.

Finora, le decine di conferenze tenute a Venezia sono state di due tipi: scienziati che parlavano ad altri scienziati della catastrofe imminente, ma totalmente ignorati dalle autorità; e simposi sul futuro della città, trascurando il fatto che Venezia non avrà un domani se non si prenderanno misure contro l’inesorabile deterioramento provocato dall’innalzamento delle acque. Il convegno «Il Mose e gli altri: la difesa dalle mareggiate del mondo», orchestrato da Pierpaolo Campostrini, direttore generale di Corila, Consorzio per il coordinamento delle ricerche inerenti al sistema lagunare di Venezia, è stato aperto da Renato Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione nei governi Berlusconi e Draghi e oggi presidente della Vsf, il quale ha celebrato il successo delle barriere mobili del Mose, che dal 2020 sono già state chiuse cinquanta volte.

Questo progetto, aspramente contrastato negli anni ’90 da partiti della Sinistra e dai Verdi e fortemente politicizzato, ha richiesto ben 17 anni per diventare operativo, è costato 6,5 miliardi di euro, di cui forse mezzo miliardo sacrificato alla corruzione. Cosa ancora più pericolosa, ha portato a negare la verità su un fatto basilare: che il Mose è lo strumento per proteggere la città dalle inondazioni temporanee, ma non dall’innalzamento cronico del livello del mare. Ciò spiega in parte perché questa emergenza nazionale (e non solo) non è all’ordine del giorno di nessun politico italiano, né nazionale né locale.

Il primo passo doveva quindi essere quello di esorcizzare la cattiva fama del Mose e di sottolineare la soddisfazione di aver finalmente controllato l’emergenza dell’acqua alta. Questo è stato il messaggio sia di Brunetta che dell’oratore di chiusura, Paolo Costa, ex ministro dei Lavori pubblici nel governo Prodi (1996-98), commissario europeo per i Trasporti e sindaco di Venezia dal 2000 al 2005: l’Italia deve esserne orgogliosa, ha detto, e il Mose dovrebbe essere aggiunto alla Lista del Patrimonio dell’umanità dell’Unesco. E ancora: il suo know-how dovrebbe essere offerto gratuitamente al mondo alla COP28 di Dubai, la 2023 United Nations Climate Change Conference del prossimo dicembre.

Gli specialisti presenti al convegno di Venezia, provenienti dal Regno Unito, dai Paesi Bassi e dal Texas, hanno elogiato il Mose e descritto i loro equivalenti, con il messaggio implicito che il Mose è ora un membro a pieno titolo del «club delle barriere antialluvione». Poi Costa ha rilasciato due dichiarazioni radicalmente nuove.

La prima è che le barriere dovrebbero essere chiuse «as often as it takes» [sic] per evitare che i veneziani si ritrovino a mollo, rifiutando così la prassi attuale, di chiuderle cioè solo in previsione che l’acqua raggiunga o superi i 130 cm sopra il punto di riferimento definito nel 1897 (ma dall’autunno sarà abbassato a 120 centimetri ed entro due anni a 110 centimetri sul medio mare, come da poco stabilito su suggerimento del commissario straordinario del Mose Elisabetta Spitz; Ndr), quando ormai parti importanti della città sono sott’acqua, soprattutto la Basilica di San Marco, che ha dovuto adottare misure autonome per proteggersi.

Questa politica apparentemente perversa è per consentire alle navi un agevole accesso al porto commerciale di Marghera all’interno della laguna, come sottolineato dal sindaco Luigi Brugnaro. La soluzione di Costa a queste esigenze contrastanti, per molti versi innovativa, è stata quella di suggerire un porto di contenimento al di fuori della laguna, anche se non è entrato nei dettagli.

È seguita poi una seconda sorpresa: siamo nella fase del «dopo Mose» ed entro il 2100 «Venezia potrebbe sgretolarsi e scomparire», ha detto Costa. Parlando con «Il Giornale dell’Arte» ha aggiunto: «Ora dobbiamo trovare una nuova idea per il bene dei nostri nipoti e dei secoli a venire». Non è però ancora chiaro a chi spetti il compito di proporre questa nuova idea.

Dopo l’incontro, Campostrini ci ha dichiarato che il passo più urgente è la nomina da parte del Governo di un direttore dell’Autorità per la Laguna di Venezia, ancora non costituita benché sia stata istituita nel 2020, perché si occupi della pianificazione strategica. Ha aggiunto che il Mose ha tuttora bisogno di finanziamenti per la sua manutenzione e operatività e soffre di una mancanza di competenze ingegneristiche dovuta al fallimento di alcune delle imprese che lo hanno costruito.

Resta da vedere, quindi, se le nette dichiarazioni del primo giugno si trasformeranno in azioni concrete da parte di questo e di futuri Governi. In caso contrario lo slogan della Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità, «La più antica città del futuro», rischia di rimanere solo un elegante formula retorica.
 

Le barriere mobili del Mose sono già state chiuse 50 volte dal 2020

Anna Somers Cocks, 05 luglio 2023 | © Riproduzione riservata

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