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La riflettografia agli infrarossi del Salvator Mundi

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La riflettografia agli infrarossi del Salvator Mundi

Per il Louvre il Salvator Mundi è tutto di Leonardo!

Un film diffonde dichiarazioni anonime virali ma non vere sul giudizio degli esperti del museo

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Redazione GdA

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Il film documentario del regista Antoine Vitkine dedicato alla vicenda del «Salvator Mundi» di Leonardo di cui si è occupato il nostro articolo online firmato da Alison Cole con la collaborazione di Georgina Adam riporta la dichiarazione di un imprecisato alto funzionario del governo di Emmanuel Macron secondo cui Leonardo aveva «solo contribuito» all’opera e che la sua «autenticità» non poteva essere confermata.

Questo ha creato la diffusione virale nella stampa mondiale della falsa opinione che quel giudizio provenisse dal Louvre.

Affermazioni non solo non documentate, ma in contraddizione con  quanto appurato dagli esperti del Louvre che avevano esposto in una specifica pubblicazione, stampata e mai diffusa in seguito al negato consenso all’esposizione dell’opera nella mostra dedicata a Leonardo da parte del proprietario, il principe saudita Mohamed Bin Salman, sembra per il rifiuto delle condizioni da lui poste come l’affiancamento alla Gioconda.

Abbiamo potuto verificare testualmente quale era stato l’autorevole giudizio degli esperti del Louvre stampato nella pubblicazione mai divulgata dalla quale trascriviamo le affermazioni essenziali.

Nella prefazione il presidente direttore, Jean-Luc Martinez, dichiara esplicitamente che gli studi condotti dal museo confermano l’attribuzione a Leonardo e ricorda che il Louvre è il museo che detiene più opere di Leonardo di qualsiasi altro museo al mondo, il che peraltro consente incomparabili possibilità di confronto.

«Nel 1518 il re Francesco I acquistò per la considerevole somma di 6250 lire numerosi dipinti di Leonardo da Vinci dal suo fedele allievo Salaì. La Sant’Anna, il San Giovanni Battista e la Gioconda si congiungevano allora, tra i beni della Corona francese, alla Vergine delle rocce e alla Belle Ferronnière, acquistati da Luigi XII. La Francia possedeva così la più ricca collezione al mondo di dipinti del maestro fiorentino, quasi un terzo della sua opera.  […] I risultati dello studio storico e scientifico presentati in questa pubblicazione permettono di confermare l’attribuzione dell’opera a Leonardo da Vinci, un’ipotesi seducente proposta all’inizio degli anni 2010 che è stata talvolta contestata. L’esposizione del quadro accanto alle altre opere originali del maestro conservate dal Louvre è dunque un avvenimento primario per gli studi leonardeschi e nella storia del nostro museo.»

Il conservatore capo del dipartimento dipinti, Vincent Delieuvin, scrive di seguito:

«L’opera, che era manifestamente in un cattivo stato di conservazione, era sfigurata da grossolane ridipinture di restauro. Questo spiega che essa fosse considerata, nel catalogo della collezione Cook, come una semplice copia attribuita a Boltraffio. […] Le reazioni all’attribuzione a Leonardo proposta nel 2011 da Luke Syson nel catalogo dell’esposizione di Londra (alla National Gallery, NdR) sono state molto contrastate, ciò che è naturale per una scoperta così sensazionale. Numerosi specialisti hanno accettato l’idea che si trattasse di un dipinto interamente autografo, ma altri hanno preferito vedervi un’opera di collaborazione tra il maestro e un allievo, sottolineando la coesistenza di parti molto belle, come i riccioli dei capelli e le mani, degni di Leonardo, e di particolari la cui debolezza li stupiva e nei quali avevano spesso difficoltà a distinguere tra ridipinture di restauro e interventi maldestri di un assistente. Infine, una minoranza di storici hanno totalmente escluso un intervento di Leonardo». […]

«La riflettografia agli infrarossi ha rivelato un disegno sottostante finissimo, quasi impercettibile, che si apparenta molto a quello della Gioconda e del San Giovanni Battista del Louvre. Per contro si distingue nettamente da quello delle copie di atelier, specificatamente dal Salvator Mundi già  collezione Ganay o da quello della chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli, le due versioni più prossime all’esemplare dell’antica collezione Cook per il loro supporto in legno di noce e per la loro composizione». […]

«Il quadro già collezione Cook si distingue dunque dalle altre versioni per il suo sottilissimo disegno sottostante, per la presenza di pentimenti importanti e per la straordinaria qualità pittorica delle parti ben conservate. Tutti questi argomenti invitano a privilegiare l’idea di un’opera interamente autografa, sfortunatamente sciupata dalla cattiva conservazione del supporto e da vecchi restauri troppo brutali«. […]

«…malgrado le abrasioni e le lacune, mostra nelle parti megloi preservate della pittura  una tecnica pittorica particolarmente sapiente, fondata su una sovrapposizione di velature trasparenti che permettono di costruire sottilmente i passaggi dall’ombra alla luce, di attenuare le linee di contorno (il celebre sfumato) e di intensificare il rilievo della figura.  Questa tecnica si apparenta a quella dei quadri della piena maturità di Leonardo, cioè degli anni 1500 e 1510,  come il San Giovanni Battista del Louvre.

Malgrado gli oltraggi del tempo, il Salvator Mundi già della collezione Cook conserva una presenza rimarchevole. Vi si sente ancora la forza dei sapienti effetti di chiaroscuro che danno l’impressione di un’apparizione calma e rassicurante della figura divina. La resurrezione di quest’opera, dopo la sua lunga sparizione, è senza dubbio una delle scoperte più rimarchevoli degli ultimi decenni. Ci vorranno degli anni ancora per convincere tutta la critica, come avvenne circa un secolo fa per l’Annunciazione degli Uffizi, la Ginevra de’ Benci di Washington o la Dama dell’ermellino di Cracovia. Speriamo che gli argomenti qui esposti possano contribuire a un dibattito serio, su basi storiche e scientifiche».

Concludono Élizabeth Ravaud e Myriam Eveno:

«L’esame del Salvator Mundi sembra dunque dimostrare che l’opera era stata eseguita da Leonardo. È essenziale a questo riguardo distinguere le parti originali da quelle che sono alterate e ridipinte, ciò che ha potuto essere fatto precisamente con questo studio grazie specificatamente alle cartografie di fluorescenza X. L’esame al microscopio ha rivelato un’esecuzione finissima, particolarmente nell’incarnato e nei riccioli dei capelli, e una grande raffinatezza nella rappresentazione in rilievo dei fili dei passamano. La radiografia del quadro mostra la stessa immagine fantomatica della Sant’Anna, della Gioconda e del San Giovanni Battista, caratteristico delle opere di Leonardo dopo il 1500. Le numerose riprese intervenute all’epoca dell’esecuzione favoriscono l’autografia. […] A seguito degli studi approfonditi dei quadri della collezione del Louvre, numerosi procedimenti osservati nel Salvator Mundi appartengono alla tecnica di Leonardo: originalità della preparazione, uso del vetro triturato e uso rilevante del vermiglio nelle ombre  e nella capigliatura. Inoltre, questi ultimi dati convergono su un’esecuzione tardiva, posteriore al San Giovanni Battista, probabilmente all’inizio del secondo periodo milanese

La riflettografia agli infrarossi del Salvator Mundi

Redazione GdA, 14 aprile 2021 | © Riproduzione riservata

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