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Un’opera di Anna Maria Maiolino

© Everton Ballardin

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Un’opera di Anna Maria Maiolino

© Everton Ballardin

Ogni gesto di Anna Maria Maiolino è un atto di resistenza

Al Musée Picasso la prima personale in Francia dell’artista italobrasiliana Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia 2024 

Il Musée Picasso, a Parigi, ospita dal 14 giugno al 21 settembre la prima personale in Francia di Anna Maria Maiolino, l’artista italobrasiliana che ha trasformato l’esperienza dell’esilio in una pratica poetica e politica. Nata a Scalea, in Calabria, nel 1942, emigrata in Venezuela, poi in Brasile, vissuta per alcuni anni negli Stati Uniti, Maiolino è una testimone del nostro tempo, impossibile da rinchiudere in una sola forma: disegno, poesia visiva, performance, fotografia, video e scultura, quella modellata con le mani, con terra, farina, argilla. Ogni suo gesto diventa resistenza. Io esisto, nonostante tutto, sembra voler dire il titolo, bilingue, della mostra parigina: «Je suis là. Estou aqui» che, realizzata in collaborazione con l’artista, allestisce un centinaio di opere, tra cui disegni inediti. Il suo percorso artistico è stato premiato con il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia 2024. Che cosa ha motivato la scelta di ospitare al Musée Picasso questa prima personale francese? Lo abbiamo chiesto a Fernanda Brenner, fondatrice nel 2012 di Pivô, uno spazio dedicato alla sperimentazione artistica, a San Paolo, in Brasile, e curatrice della mostra parigina con Sébastien Delot, conservatore del Musée Picasso. «Lavorando con Anna Maria dal 2018, è stato naturale per me fare da ponte tra l’artista e l’istituzione. Ho accettato con piacere l’invito di cocurare questa mostra, realizzata nell’ambito della stagione culturale Francia-Brasile. Esiste un dialogo affascinante tra Maiolino e Picasso, in particolare nel loro rapporto con il corpo femminile. Dove Picasso rappresenta e frammenta il corpo femminile come oggetto di contemplazione, Maiolino propone un’opposizione salutare: utilizza il proprio corpo come soggetto e strumento di creazione, specialmente nelle sue performance e nei film degli anni ’70. La varietà dei mezzi espressivi esplorati da Maiolino entra in risonanza con la pratica multidisciplinare di Picasso. È stata una sfida stimolante pensare a come inserire la sua opera nel contesto francese». 

Come avete selezionato le opere?
La selezione si è costruita attraverso le tante conversazioni che abbiamo avuto con Anna Maria nel suo studio di San Paolo, dove abbiamo immaginato insieme come la sua opera potesse dialogare con lo spazio del museo. Abbiamo privilegiato un approccio tematico piuttosto che cronologico, strutturando la mostra attorno a concetti chiave che attraversano tutta la sua carriera: L’interstizio del senso, Tempesta di idee, In principio, Nuovi Paesaggi e Rimbalzi. In questo modo, è possibile cogliere le preoccupazioni fondamentali che animano Anna Maria da decenni. L’installazione inedita «In principio», creata per la mostra, era essenziale per noi. Averla potuta osservare mentre modellava l’argilla, rafforza la dimensione viva della mostra. Come ci ha confidato Anna Maria durante i preparativi: «Le opere esposte non sono oggetti passivi, ma presenze attive che continuano a generare conversazioni». È proprio questa vitalità che la nostra selezione cerca di celebrare.

L’artista rivendica appunto un’opera viva, impegnata. Come avete tradotto questa vitalità?
Anche il titolo bilingue «Je suis là. Estou aqui», nato dallo scambio di riflessioni nello studio di San Paolo, riflette non solo il percorso di Anna Maria, tra Italia e Brasile, ma anche la composizione del team curatoriale: un francese e una brasiliana, che comunicano tra loro in italiano, inglese, francese e portoghese. Questa ricchezza linguistica ha creato uno spazio di scambio unico che rispecchia il percorso multiculturale di Anna Maria. Lei ha insistito sul fatto che non desiderava una retrospettiva statica. «Non voglio una retrospettiva che mi collochi in una vetrina storica»: questa frase ha guidato la collaborazione con Sébastien Delot. La scenografia dinamica che abbiamo concepito mette in risalto il carattere processuale del suo lavoro. L’installazione «In principio», che ho visto nascere tra le sue mani, occupa un posto centrale. Questo materiale organico, l’argilla, che ha scoperto nel 1989, incarna perfettamente la vitalità che lei rivendica. Abbiamo creato una circolazione fluida tra gli spazi tematici, permettendo al visitatore di tessere i propri collegamenti, proprio come il lavoro di Anna Maria resiste a qualsiasi lettura lineare. Le tracce di performance, in particolare «Entrevidas», richiamano la dimensione corporea e impegnata della sua opera, la sua interazione diretta con il pubblico e lo spazio, traducendo la presenza attiva affermata dal titolo.

Un disegno di Anna Maria Maiolino. © Everton Ballardin

Il Leone d’Oro del 2024 cambia il modo in cui le istituzioni e il mercato dell’arte percepiscono il suo lavoro?
Ero molto fiera quando Anna Maria ha ricevuto questo riconoscimento. Ero a Venezia quando ha dedicato il suo premio «all’arte brasiliana, al Paese che mi ha accolto»: un momento commovente che simboleggia il suo profondo legame con il Brasile. Questo Leone d’Oro corona un processo di riconoscimento internazionale già avviato, ma trasforma indubbiamente la ricezione della sua opera, in particolare in Francia, dove non aveva mai avuto una personale. Durante i nostri scambi a San Paolo dopo il premio, Anna Maria è rimasta fedele a sé stessa: più concentrata sul prossimo progetto che sugli onori ricevuti. Questa autenticità è una delle qualità che ammiro di più in lei. Questa mostra arriva nel momento ideale, permettendo al pubblico francese di scoprire un’artista nel pieno della sua maturità. Il Leone d’Oro ha amplificato l’interesse del pubblico e dei media, offrendo maggiore visibilità a un’opera che da tempo meritava questa attenzione.

La vita di Maiolino è segnata dall’esilio. In che misura questa esperienza nutre il suo lavoro? 
Anna Maria mi ha spesso raccontato come i suoi spostamenti tra Italia, Venezuela e Brasile abbiano forgiato la sua sensibilità artistica. «Quando ci si muove tra tanti luoghi, tante identità, si impara a distinguere ciò che è veramente proprio da ciò che si è accumulato», mi ha confidato. Questa lucidità impregna la sua opera. I «Mapas Mentais» rivelano un tentativo di mappare uno spazio mentale ibrido. L’adozione dell’argilla nel 1989 rappresenta una svolta, perché questo materiale primordiale le permette di ancorarsi simbolicamente e di stabilire una connessione con gesti ancestrali che superano le frontiere. «Entrevidas» manifesta questa riappropriazione del corpo come ultimo territorio. Camminando a occhi chiusi tra uova posate al suolo, l’artista mette in scena la precarietà dell’esiliato che naviga in uno spazio ostile. Di fronte alla dittatura brasiliana, il suo corpo diventa l’ultimo spazio inviolabile, un atto di resistenza politico e poetico insieme. Questo costante dialogo tra sradicamento e radicamento, tra fragilità e resistenza, è uno dei fili conduttori più potenti della sua opera.

L’opera di Maiolino è quindi una forma di resistenza poetica alla cancellazione delle origini?
Assolutamente sì. L’opera di Maiolino incarna una profonda resistenza a ogni concezione fissa dell’identità nazionale. Il suo approccio artistico rifiuta i confini rigidi imposti dai nazionalismi, proponendo una soggettività nomade che destabilizza appartenenze e territori. Ho voluto evidenziare in questa mostra come la sua esperienza di migrante l’abbia portata a sviluppare quella che i critici chiamano cartografia soggettiva, opposta alle cartografie ufficiali. Nelle sue serie, come «Mapas Mentais», brucia letteralmente i contorni dell’Italia, rivelando la fragilità e l’arbitrarietà delle frontiere nazionali. Maiolino si definisce un’artista contaminata, rivendicando questa contaminazione culturale come forma di ricchezza creativa. «Avere un’identità divisa, essere nomade, pellegrina, essere incompleta», diventa paradossalmente la sua forza poetica, un atto politico contro l’omologazione. Questa resistenza si esprime soprattutto attraverso il corpo, materia prima di molte sue performance. In un contesto di dittatura militare, utilizzare il proprio corpo come territorio da difendere diventa un atto sia intimo sia politico, un modo per preservare ciò che non può essere cancellato. Il suo approccio non cerca di ritrovare radici perdute, ma di trasformare l’esperienza dello sradicamento in un linguaggio artistico sovrano.

Un’opera di Anna Maria Maiolino, 1967

Luana De Micco, 12 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Ogni gesto di Anna Maria Maiolino è un atto di resistenza | Luana De Micco

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