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Nicoletta Biglietti
Leggi i suoi articoliC’era molto più di un guardaroba sotto i guanti di velluto della Regina Elisabetta II. C’era un sistema di segni accuratamente costruito, una disciplina ferrea e, quando necessario, un «pugno di ferro» mascherato da color pastello. Per oltre settant’anni di regno, Elisabetta II ha fatto dello stile uno strumento di comunicazione istituzionale, politica e simbolica. La sua moda non era mai neutra. Ogni scelta – dal colore di un cappotto alla posizione di un cappello, dalla selezione di una spilla alla costruzione di una silhouette – rispondeva a una funzione precisa: rendere visibile il potere laddove non poteva più essere esercitato direttamente. Un linguaggio visivo pensato per comunicare stabilità, controllo e continuità istituzionale. Sempre riconoscibile, leggibile e mai casuale.
È da questa consapevolezza che nasce «Queen Elizabeth II: Her Life in Style», la più grande e completa mostra mai dedicata al guardaroba della sovrana, in arrivo alla King’s Gallery di Buckingham Palace nell’aprile 2026, nell’anno in cui Elisabetta avrebbe compiuto cento anni. Un’esposizione che mette al centro la moda come atto politico, culturale e identitario, raccontando una vita – e un regno – attraverso gli abiti.
Circa 200 pezzi, molti dei quali esposti per la prima volta, compongono un archivio senza precedenti: abiti d’alta moda, gioielli, cappelli, scarpe e accessori, ma anche bozzetti originali, campioni di tessuto e corrispondenza manoscritta che rivelano il lavoro meticoloso e il coinvolgimento diretto della Regina nella costruzione della propria immagine pubblica.
Tra i capi più emblematici in mostra figurano l’abito da damigella d’onore dell’infanzia, l’abito da sposa del 1947, quello dell’incoronazione del 1953 e l’ensemble indossato per il matrimonio della principessa Margaret. Accanto a questi, una selezione di capi meno noti ma altrettanto rivelatori: i tweed, i tartan e i foulard del guardaroba privato di Balmoral, fino agli outfit pensati per i grandi appuntamenti della scena internazionale. Perché ogni abito della sovrana racconta una funzione, un contesto e un messaggio preciso.
Uno dei passaggi più significativi, ad esempio, riguarda proprio l’abito da sposa. Commissionato a Norman Hartnell, fu il risultato di un dialogo serrato: Elisabetta scelse personalmente dettagli, soluzioni e finiture tra gli undici bozzetti presentati, contribuendo di fatto alla creazione del capo. Il risultato fu un abito sontuoso ma carico di significato, acquistato utilizzando i buoni per la razione alimentare del dopoguerra. Un gesto che trasformò un evento privato in un messaggio pubblico di vicinanza al popolo britannico. Moda, ancora una volta, come dichiarazione politica.
Lo stesso principio governa l’iconico abito dell’incoronazione, anch’esso in mostra: raso duchesse bianco, ricami in oro e argento, emblemi floreali delle nazioni del Commonwealth. Un capo pensato per rendere visibile il ruolo della sovrana come figura unificante, in un momento cruciale per l’identità della Gran Bretagna e del suo impero.
La mostra non si ferma però agli inizi del regno di sua maestà, ma dialoga anche con il presente. Le creazioni di Christopher Kane, Erdem Moralıoğlu e Richard Quinn – il primo insignito del Queen Elizabeth II Award for British Design – vengono accostate ai capi originali dell’archivio reale, a testimonianza dell’influenza duratura della Regina sulla moda contemporanea. Kane, Moralıoğlu e Quinn hanno infatti riletto lo stile di Elisabetta a modo proprio evocandone le silhouette, i riferimenti culturali e l’eleganza misurata ma mai casuale.
A sinistra: abito da damigella d'onore, Edward Molyneux. A destra: la regina Elisabetta II quando era la principessa Elisabetta di York, Elliott & Fry, 1934. Fotografo dell'abito da damigella: Jon Stokes.
Ma per capire davvero il peso di questa mostra bisogna tornare indietro. Molto indietro. Nell’aprile del 1929, la futura Regina appariva sulla copertina di «Time» per il suo terzo compleanno, immortalata da Marcus Adams in un abitino pastello e un filo di perle. Il titolo era già rivelatore: «La principessa Lilibet detta la moda del giallo per le bambine». Prima ancora di saper scrivere il proprio nome, Elisabetta aveva già uno stile riconoscibile.
Nei dieci decenni successivi, quel linguaggio visivo si è affinato senza mai perdere coerenza. Dai primi couturier di corte – Norman Hartnell e Hardy Amies – fino a Ian Thomas, Stewart Parvin e Angela Kelly, ogni look era studiato per essere immediatamente leggibile. Colori netti, silhouette pulite, accessori calibrati. Con il suo metro e sessanta di altezza, Elisabetta II doveva emergere. Sempre. Anche a distanza e anche tra la folla.
Con il passare dei decenni, lo stile della Regina ha attraversato e assorbito i cambiamenti culturali: il New Look degli Anni 50, le aperture cromatiche degli Anni 60, le sperimentazioni decorative dei 70 e 80. Senza mai rincorrere la moda e senza mai subirla. Piuttosto, filtrandola, adattandola, governandola.
La mostra mette in evidenza anche il valore diplomatico dello stile di Her Majesty, attraverso episodi ormai entrati nella storia. Come la visita in Irlanda del 2011, la prima di un monarca britannico in oltre un secolo. Elisabetta II arrivò a Dublino indossando un cappotto verde, colore nazionale, e nei giorni successivi un abito bianco ornato da oltre duemila quadrifogli ricamati a mano, accompagnato da una spilla a forma di arpa irlandese. Un linguaggio visivo chiaro, calibrato, che contribuì in modo decisivo al successo di una visita altamente simbolica.
Allo stesso modo, la moda poteva diventare strumento di distanza, senza mai infrangere il protocollo. Durante la visita di Donald Trump nel 2018, la Regina si affidò agli accessori per comunicare. In particolare a delle spille scelte con precisione chirurgica: una ricevuta in dono da Barack Obama – avversario politico del tycoon, ma molto ammirato dalla Sovrana, un’altra raffigurante il fiore simbolo del Canada – derisa più volte dallo stesso presidente US, fino a una spilla associata al lutto. La stampa britannica parlò apertamente di «brooch warfare», guerra della spille . Ancora una volta, nessuna dichiarazione ufficiale. «Solo» segni, ma inappuntabili.
Negli ultimi trent’anni di regno, questo sistema si è affinato ulteriormente grazie al lavoro di Angela Kelly. La mostra ne documenta il metodo rigoroso: le scarpe con tacco di cinque centimetri, realizzate su misura, indossate prima dalla Kelly per ammorbidirle; i cappelli posizionati per garantire la visibilità del volto anche dall’interno di un’auto; i tessuti testati per evitare movimenti indesiderati. Ogni dettaglio rispondeva a una funzione precisa. Nulla era decorativo, perché tutto era comunicazione.
Il colore, in particolare, era centrale. Doveva isolare la figura della Regina dallo sfondo, renderla immediatamente individuabile e, allo stesso tempo, veicolare messaggi. A volte richiamando le cromie nazionali dei Paesi visitati. Altre volte scegliendo tonalità volutamente neutre, come il rosa indossato alle Olimpiadi di Londra del 2012, un colore che non apparteneva a nessuna bandiera e che dichiarava una posizione super partes.
Sotto Elisabetta II, la moda non è mai stata semplice ornamento. È stata uno strumento di potere mediatico, una grammatica fatta di simboli, una forma di leadership visiva. In un’epoca in cui la monarchia aveva perso gran parte del suo potere politico, lo stile è diventato il mezzo per restare rilevante. Per parlare al mondo senza alzare la voce.
Scelte che non rispondevano mai a un criterio puramente estetico, ma a una precisa funzione comunicativa. È proprio questa grammatica visiva, fatta di dettagli controllati e simboli leggibili, che «Queen Elizabeth II: Her Life in Style» porta in scena a Buckingham Palace: non una celebrazione del gusto personale della sovrana, ma la messa a fuoco di uno stile costruito come strumento di governo dell’immagine. Non semplici abiti, dunque, ma atti istituzionali. Cuciti, osservati e, soprattutto, decifrati.
A sinistra: Completo indossato per le nozze della principessa Margaret, Norman Hartnell, 1960. A destra: Cappello indossato per le nozze della principessa Margaret, Claude St Cyr, 1960. Crediti: © Royal Collection Enterprises Limited 2025 | Royal Collection Trust. Fotografo: Jon Stokes.Copyright: Royal Collection Enterprises Limited©
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