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L’opera di Jesus Rafael Soto presentata a Meridians 2025 da Galería RGR

Courtesy of Art Basel

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L’opera di Jesus Rafael Soto presentata a Meridians 2025 da Galería RGR

Courtesy of Art Basel

Miami Art Week: un mercato che torna a respirare e una città che prova a reinventare il proprio futuro, a più livelli

Dal mid-level alle blue-chip, dalla materialità alla digital art, le fiere della città segnano un rialzo dell’attività e un nuovo appetito dei collezionisti americani, mentre la piazza si consolida come hub stabile più che evento glam

Elisa Carollo

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Un senso diffuso di eccitazione e un ottimismo prudente ma palpabile, ha pervaso la settimana dell’arte a Miami. Dopo le buone performance di ottobre fra Londra e Parigi e le aste miliardarie di New York, la Art Week più famosa della Florida si presentava come il vero test conclusivo di un anno complesso, forse decisivo dell’ultimo decennio per un mondo dell’arte che, alla pari di altre industrie, non può più ignorare i cambiamenti sociali, tecnologici e, nella loro interconnessione, generazionali e culturali in atto, che stanno ridefinendo il modo in cui la cultura viene prodotta, circolata e apprezzata. Tutti parlavano di «calibrazione», parola totem di un sistema che da mesi naviga fra cautela, compressione di domanda e selettività estrema, o che stava semplicemente cambiando. Eppure, nei primi giorni di fiera, la parola che ha iniziato a circolare non era più «reset» ma «momentum». E forse anche un momento di cambiamento - di pubblici, di gusto, e quindi anche di offerta.

Questo non vuol dire che siamo tornati ai ritmi febbrili degli anni del boom, né alle vendite «sold out by noon» che avevano definito Miami come epicentro glamour del mercato statunitense. Ma qualcosa si è mosso. NADA e Untitled Art, che da sempre anticipano la main fair intercettando il segmento mid-level ed emergente, hanno registrato aperture affollate e vendite costanti già nelle prime due ore. «Non è la frenesia di qualche anno fa, ma è molto più forte rispetto all’inizio dell’anno», confermava l’advisor Adam Green. L’advisor Angelica Semmelbauer notava a sua volta un cambio di passo netto: I collezionisti apparivano più presenti, più coinvolti e decisamente più inclini ad acquistare, segnando un rialzo dell’attività e un ottimismo che lascia intuire come il mercato stia finalmente superando le recenti incertezze. Un’energia misurata, certo, ma reale a fronte di una proposta molto più varia di narrazioni genuine e estetiche capaci di indagare le complessità di un'identità contemporanea globale, iperconnessa ma estremamente divisa, nella crescente contemporanea polarizzazione e al contempo alienazione creata dalla nuova giuntura fra esperienza e comunicazione digitale e reale. Il dato più evidente è stato forse geografico: il pubblico era quasi interamente americano o proveniente dalle Americhe. Pochi europei, pochissimi asiatici. Se da un lato questo ridimensiona il respiro internazionale della settimana, dall’altro riflette una trasformazione strutturale della città: Miami non è più solo lo scenario scintillante di un weekend di fiere, ma un hub di seconde case, un porto sicuro per collezionisti statunitensi e latinoamericani che tornano ciclicamente, o hanno ormai sede fissa, soprattutto nelle fasce più giovani, potenzialmente costituendo quella base locale che può dare anche maggiore sostenibilità al suo ecosistema culturale in continua espansione.

 

Lo stand di SGR ad Untitled. Courtesy of Untitled

Lo stand di Carl Freedman ad Untitled. Courtesy of Untitled

Untitled Art: la spiaggia prende il centro della scena

Nel continuo ping pong fra Untitled e NADA, quest’anno il baricentro della settimana si è spostato nettamente verso la spiaggia: Untitled ha mostrato una capacità di attrazione internazionale più forte rispetto a NADA, proponendo una selezione concettuale più ampia e una nuova direzione curatoriale sotto la guida di Clara Andrade. Con 160 gallerie da oltre settanta città e un layout ripensato in chiave tematica, il fair tent ha accolto un pubblico fitto e sorprendentemente attivo sul fronte acquisti fin dalle prime ore. Fra i casi emblematici della solidità del mercato per emergenze sotto i 20k, HAIR+NAILS ha venduto l'intera personale di Emma Baetrez; Swivel Gallery ha quasi esaurito le opere di Ioanna Liminiou; Stems, Vigo, Spencer Brownstone e Miro Presents hanno riportato early sell-outs già nel pomeriggio dell’opening. Ancora più interessante è stata la combinazione tra vendite accessibili e piazzamenti di fascia medio alta, quella che ha forse più sofferto nell’ultimo anno soprattutto per artisti che vi erano entrati nel boom speculativo. Kavi Gupta ha collocato un Glenn Ligon fra i 250mila e i 300mila dollari, mentre Carl Freedman Gallery ha venduto opere di Lola Stong-Brett (46mila dollari) e Billy Childish (47.500 dollari). Rajiv Menon Contemporary, con la mostra «The Missing Figure», ha venduto cinque opere su sei in poche ore. Segno che il collezionismo americano non ha paura di impegnarsi su nuove proposte, purché ci sia coerenza narrativa e qualità. Un altro tema forte a Untitled come in altre fiere è il ritorno alla materialità come archivio di memoria e identità e resistenza alla dematerializzazione e desensitizzazione dell’esperienza contemporanea. L’opera immersiva «Superposition» di John Rivas — terra, fagioli, pannocchie, catene, legno scolpito — riassumeva il bisogno di una tattilità che conti, di un contatto diretto tra biografia e oggetto estetico. Come ha detto la gallerista Storm Asher, «l’energia era fuori scala» e prevedeva un sold-out completo entro domenica.

NADA: gli Stati Uniti difendono il loro terreno

Se Untitled offriva apertura maggiore internazionalità e varietà, NADA Miami rimane il luogo dove molte gallerie americane e latinoamericane costruiscono e consolidano i loro mercati. Il range 5mila–20mila dollari — quello più vulnerabile nel clima economico attuale — ha dato invece segnali molto incoraggianti. Nelle prime ore, Charles Moffett ha venduto dieci opere del dominicano Kenny Rivero (12mila–25mila dollari), anticipando una sua importante personale a New York. Tara Downs ha esaurito la mostra di Yirui Fang prima dell’opening del 2025; Mrs. ha venduto opere di Lily Ramírez, Elizabeth Atterbury e Sachiko Akiyama; Patel Brown ha quasi fatto sold out delle opere di Alexa Kumiko Hatanaka e Sergio Suarez; Pangee ha avuto una risposta eccezionale ai paesaggi frammentati di Claire Milbrath. Premiata peró anche qui è stata la qualità curatoriale e narrativa, come lo stand di Dargent Daughter dedicato ai lavori di Wendy Red Star, Scott Csoke e Debbie Lawson. Allegra LaViola ha riportato forti vendite nel primo giorno e grande entusiasmo per l’allestimento non convenzionale dello stand. Non lontano, ProxyCo ha proposto una personale della messicana Lucía Vidales, con piccoli lavori venduti rapidamente sotto i 10mila e un murale da 60mila dollari in attesa di un’acquisizione istituzionale.

 

Scorcio della fiera Nada. Courtesy of Nada

Scorcio dalla fiera Nada. Courtesy of Nada

Art Basel Miami Beach: cautela in superficie, azione sottotraccia


L’apertura VIP di Art Basel è sembrata a tutti molto più pacata - soprattutto se confrontata con Parigi qualche mese prima - con un pubblico meno internazionale, un ritmo più lento. In realtà, le conversazioni erano semplicemente più orientate alle vendite che alle semplici relazioni. Già alle 15 del primo giorno Hauser & Wirth ha annunciato peró poi di aver raggiunto un livello vendite superiori del 40 percento rispetto all’intera settimana del 2023, compresi capolavori di George Condo, Bourgeois, Henry Taylor e Rashid Johnson. David Zwirner ha venduto un Gerhard Richter per 5,5 milioni di dollari; Thaddaeus Ropac ha confermato piazzamenti importanti di Alex Katz, Baselitz, Antony Gormley; White Cube ha venduto opere di de Kooning, Hirst, Emin e Gursky; Pace ha collocato il blue-chip Sam Gilliam per 1,1 milioni e una serie di sculture e pitture nella fascia 80mila–400mila dollari. L’ opera più costosa in fiera era l’Andy Warhol, «Muhammad Ali», offerto a 18 milioni da Lévy Gorvy: un omaggio alla storia della città, dove Ali combatté contro Sonny Liston nel 1964. Offerto a 15 milioni era in poi anche un autoritratto in miniatura di Frida Kahlo nello stand di Weinstein, per molti una richiesta esagerata nonostante il record in asta per l’artista qualche settimana prima. Molto più raro, ma stranamente più accessibile era il «Penetrable» di Jesús Rafael Soto, portato da RGR nel settore Meridians: una delle opere più rare e influenti dell’artista, sul mercato per la prima volta dopo vent’anni. L’interesse museale è stato immediato, con istituzioni impegnate nella corsa ad assicurarsi i fondi per un’opera davvero once in life.

Il dinamismo non si è limitato ai grandi nomi

Matthew Brown ha superato 750mila dollari in vendite entro il pomeriggio VIP, collocando opere di Sasha Gordon, Kenturah Davis e Heidi Lau; Gallerie come Pippy Houldsworth, Jan Kaps, Nicodim e Crèvecœur hanno riportato vendite solide nella fascia 15mila–90mila dollari.
«I risultati sostanziali a sette e otto cifre delle recenti aste - e il dinamismo che abbiamo visto qui a Miami Beach, con vendite multimilionare come i 5,5 milioni di dollari per Richter, i 3,3 milioni per Neel e i 18 milioni per il Muhammad Ali di Warhol - confermano che, anche in un mercato in fase di ricalibrazione, i collezionisti restano altamente coinvolti», ha commentato sabato, verso la chiusura, Vincenzo De Bellis, Chief Artistic Officer e Global Director di Art Basel. De Bellis ha però notato anche che, se la qualità continua a ottenere prezzi significativi, anche i settori curati della fiera hanno registrato grande entusiasmo spesso convertito in rapide vendite, con importanti acquisizioni istituzionali come la rara opera di Martin Wong destinata a un museo statunitense e un lavoro di Nike Davies-Okundaye acquisito dal Toledo Museum of Art, oltre a buone vendite nei segmenti inferiori e medi del mercato.

 

Lo stand di Casa Triângulo con Joana Vasconcelos

Lo stand di Casey Kaplan con Kevin Beasley

Zero10: dove il digitale diventa corpo

L’esordio della sezione dedicata al digitale Zero10, è stato forse una delle sorprese più interessanti della fiera: piena di curiosi, appassionati ma anche collezionisti, ha portato in fiera un pubblico e una comunità che nemmeno Art Basel forse era mai riuscita ad intercettare, ma che a questo punto non può piú ignorare per il proprio successo a lungo termine. «Zero 10 ha aggiunto un ulteriore livello di energia, dimostrando con quanta rapidità i collezionisti stiano abbracciando lavori all’intersezione tra tecnologia e pratica contemporanea», ha confermato De Bellis. Infatti, sebbene la sezione fosse stata annunciata e organizzata all’ultimo, ha alla fine compensato - e anzi forse offerto di piú - di quei dealer consolidati che si erano ritirati a pochi mesi di apertura. Le opere presentate nel settore Zero10 portano in fiera un livello stimolante di sperimentazione, mostrando una sorprendente diversità di forme, estetiche e riflessioni sul presente, come ha notato Adam Heft, uno dei pionieri nel promuovere forme d’arte già ibride fra digitale e fisico. «Questa ampiezza di innovazione riflette quanto la tecnologia sia ormai intrecciata nella vita di chi visita Art Basel», ha commentato. «L’uso di processi digitali da parte degli artisti è un’evoluzione naturale, destinata a perdere ogni effetto di sorpresa e a integrarsi sempre più nel linguaggio dell’arte contemporanea. Zero10 segna un passo deciso in questa assimilazione, grazie anche alla qualità tecnica e alla familiarità dei formati che caratterizzano molte opere del settore». Ad attrarre l’attenzione di media e social media è stato uno degli esponenti di punta della digital art (e record d’asta a 69.3 millioni per digital art) ma anche più figura ibrida fra arte e spettacolo, Beeple, che ha presentato «Regular Animals», un’installazione performativa con robot-cane dotati di maschere iperrealistiche di figure come Mark Zuckerberg. Le edizioni, messe in vendita a 100mila dollari, sono andate sold-out immediatamente, e l’artista ha annunciato che le «poop» che i robot stanno elaborando, saranno rilasciate come 1024 stampe/ 256 NFT in edizione limitata, frutto dell’elaborazione delle foto più interessanti da loro catturate in questi giorni di una performance di creatività robotica e umana che non solo porta a partecipare ma anche istiga la democratizzazione del fenomeno arte. Ma le vendite nel settore entro le prime ore sono andate al di là della viralità di Beeple. Heft stesso ha venduto nelle prime ore quattro rilievi digitali di Michael Kozlowski; Prismatic ha piazzato un’opera di Kim Asendorf per 145mila dollari; Yatreda ha venduto interamente la loro serie ibrida di scultura in argento e componente digitale presentata da Asprey Studio con opere del vicentino Andrea Chiampo che hanno trovato similmente successo.

 

Beeple Studios. Courtesy of Art Basel

Lo stand di Nguyen Wahed con l’opera di XCOPY. Courtesy of Art Basel

La varietà anche fuori dalla fiera diventa la geografia emotiva della città

La forza della Miami Art Week ad oggi è nella sua natura sempre tentacolare: ciò che accade fuori dal Convention Center è spesso ciò che definisce il tono di una scena artistica della cittá comunque in espansione. Allo stesso tempo, i puri eventi di brand activation appaiono ormai molto piú integrati con il focus arte della settimana spesso grazie al dialogo fra industrie creative che condividono oggi le stesse sfide. Fra le mostre museali più rilevanti Hiba Schahbaz al MOCA North Miami ha affascinato con il suo giardino paradisiaco di miniature, femminismi fluidi e mitologie personali mentre Lawrence Lek al Bass Museum ha impressionato con le distopie emotive delle A.I. che diventano architettura speculativa. All’ICA, Masaomi Yasunaga ha messo in scena uno dei migliori esempi contemporanei di ceramica come forma geologica della memoria. Nuovamente in scena troviamo quindi una tensione fra materiale e virtuale, che cerca ancoraggio in osservazioni antropologiche o in narrazioni ancestrali.

Ma in questa tensione che caratterizza l’esistenza d’oggi, e le iniziative di questa settimana, nessuna ha avuto l’impatto di REEFLINE, un progetto che intreccia arte, biologia marina e ingegneria costiera per ricostruire il reef di Miami, devastato da decenni di ampliamenti artificiali delle spiagge. Il primo intervento, «Concrete Coral» di Leandro Erlich, dispone ventidue auto a grandezza naturale a 780 piedi dalla riva: sculture in cemento marino, seminate con 2.200 coralli coltivati in laboratorio e già trasformate in un habitat pulsante di vita. «La prima volta che mi sono immersa credevo fossero squali», racconta la fondatrice Ximena Caminos. «La vita è tornata molto più velocemente di quanto immaginassimo». Più che arte pubblica, REEFLINE è un’infrastruttura civica e un’aula sottomarina, un modello radicale per ripensare come le città costiere affrontano erosione e cambiamento climatico. 
Finanziato da un bond culturale e da donazioni filantropiche, il progetto prevede undici fasi per un totale di quaranta milioni di dollari, con 6,5 milioni già raccolti. La sua forza sta nel ribaltamento di prospettiva: qui l’arte affronta un problema concretamente, ricostruendo habitat e attivando una comunità intera attorno a un processo che unisce immaginazione e rigenerazione per un futuro più sostenibile per Miami. In una simile nota, l’installazione potenzialmente solo «Instagram-virale» di Es Devlin, «Library of Us», ha trasformato l’iper-glamour spiaggia del Faena Hotel in uno spazio pubblico autentico dedicato alla lettura, all’ascolto e alla condivisione del sapere umano, incoraggiandone le infinite possibilità immaginative. Un’immensa libreria triangolare specchiante in lenta rotazione, sospesa tra cielo e oceano e colma di 2.500 volumi, che diventa un grande tavolo pubblico, invitando i visitatori a sedersi, sfogliare un libro, ascoltare estratti letti dall’artista e sostare in un tempo diverso, più meditativo.

 

Elmgreen & Dragset nello stand di Pace. Courtesy of Art Basel

Una conclusione provvisoria: il mercato respira, Miami immagina
Quello che emerge da questa settimana è duplice. Da un lato, un mercato che - pur lontano dalla frenesia del passato - conferma non solo un nuovo dinamismo a tutti i livelli di prezzo, ma anche nuova apertura a nuovi format. Le vendite ci sono, i collezionisti sono presenti e più vari, e la fiducia sta lentamente tornando. Dall’altro, Miami pare una città che cerca un nuovo modo di definirsi: non solo capitale effimera di una settimana glamour ma laboratorio di convivenza tra arte, ecologia e urbanità. Il «momentum» tanto evocato sembra derivare proprio da questa doppia traiettoria: un mercato che riprende ritmo e una città che prova a immaginare il proprio futuro, sopra e sotto la superficie. Anche se il problema del traffico non l’ha ancora risolto...

Elisa Carollo, 07 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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