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Massacro, sacrilegio o recupero?

Luana De Micco

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«L’essenziale della materia originale del XIII secolo c’è, noi non abbiamo fatto altro che liberarla da secoli di polvere e di sporco. Ciò che è straordinario nella Cattedrale di Chartres è che, a parte alcune lacune, si è conservato quasi l’80% del decoro originale. È chiaro che il contrasto netto tra le parti restaurate e quelle non restaurate possa far pensare che abbiamo ridipinto tutto, ma non è così». Alla conservatrice dei monumenti storici della Drac (Direction régionale des affaires culturelles  de la région Centre) Irène Jourd’heuil abbiamo chiesto di rispondere alle recenti polemiche che stanno accompagnando il restauro di uno dei gioielli dell’architettura gotica francese, edificato tra il 1194 e il 1220. I lavori, stimati 15 milioni di euro circa, sono iniziati nel 2009 e si concluderanno nel 2017. Il coro e il deambulatorio sono già stati restaurati, ora si sta lavorando nella navata. Sotto sporco e strati di vernice, i restauratori stanno riportando in luce l’intonaco originale color sabbia con pennellate di bianco effetto pietra, conservatosi quasi interamente intatto dal XIII secolo. Il risultato è che la chiesa da secoli buia e scura sta diventando colorata e luminosa. Un effetto, per molti osservatori, troppo radicale. Da quando le prime impalcature sono state smontate stanno dunque piovendo critiche. In un articolo su «The New York Review of Books», lo storico dell’architettura Martin Filler ha denunciato il «sacrilegio» che si sta commettendo con l’avallo dello Stato. «A Chartres, ha scritto Filler, si sono impegnati in una ricerca temeraria come potrebbe essere aggiungere la testa alla Nike di Samotracia o le braccia alla Venere di Milo». Il mese scorso, sulle pagine di «The Art Newspaper», David Park, direttore del Dipartimento per la conservazione delle pitture murali del Courtauld Institute of Art di Londra, ha chiesto «lo stop immediato» del restauro. Gli esperti francesi si sono spinti troppo in là? Stanno «massacrando» la Cattedrale di Chartres, come scrive su artribune.com l’architetto Carlo Berarducci? «Siamo coscienti che il restauro trasforma la visione romantica della Cattedrale, di un luogo scuro propizio al raccoglimento, risponde Irène Jourd’heuil. Si restituisce una luminosità finora sconosciuta e su alcuni può generare uno shock. Ma la Cattedrale non è stata concepita per essere buia, c’erano colori ovunque. I frammenti di policromia rinvenuti sulla facciata dimostrano che anche l’esterno era colorato. Nel suo articolo, Filler, aggiunge la conservatrice, rimpiange che il coro sia stato “dipinto”. Ma bisogna sapere che quel decoro baroccheggiante risale al XVIII secolo e che noi ci siamo limitati a pulirlo. Prima era così sporco che nessuno vi prestava attenzione! Lo storico mette anche in dubbio il fatto che il colore sabbia e bianco delle pareti, omogeneo in tutta la Cattedrale, potesse esistere nel Medioevo. Gli rispondo che non solo è originale, ma che è anche ricorrente in alcune chiese della regione e del Nord della Francia, come nell’abbazia di Longpont, in Piccardia. Si conosce già dal 1989 grazie agli studi dello storico dell’arte tedesco Jürgen Michler. Dispiace non aver potuto accogliere Filler in cantiere, gli avremmo volentieri spiegato le nostre scelte». Irène Jourd’heuil ricorda che il restauro era diventato «necessario. C’erano reali problemi di sicurezza». Le vetrate presentavano importanti alterazioni legate all’inquinamento atmosferico. L’intonaco cominciava a staccarsi dalla volta. Le pareti erano ricoperte da strati di polvere. «Gli studi preliminari hanno confermato che i decori sono originali del XIII secolo. Lo stato di conservazione si deve senz’altro al tipo di pietra e alla buona qualità dell’intonaco stesso. È stato dimostrato che sono medievali anche le policromie delle colonnine del triforio, che si pensava più tardive, e le vetrate a trompe-l’œil. Solo alcune zone hanno sofferto, come a livello del transetto, dove l’intonaco è stato asportato nell’Ottocento dall’architetto all’epoca responsabile, perché lo credeva posteriore. Quello sì che è stato un sacrilegio! L’intenzione del comitato scientifico è stata dunque ora di valorizzare questo stato di conservazione a dir poco eccezionale e raro in un monumento di quell’epoca». Sull’intonaco duecentesco sono stati applicati nel corso del tempo altri due strati di vernice. Il più recente, dell’Ottocento, «non era omogeneo ed era impossibile conservarlo. Se n’è venuto via spazzolando». Lo strato precedente, invece, che imitava il decoro d’origine, «aveva perso coerenza. Ma in alcuni punti, dove era più aderente, lo abbiamo conservato. In altri casi lo abbiamo rifissato perché presentava tracce interessanti, come alcuni graffiti a livello del triforio e un’iscrizione d’epoca rivoluzionaria su una colonna della navata». Una volta risaliti all’intonaco originale, i restauratori hanno completato le lacune. Un’operazione di ricostituzione «che non solleva alcun problema poiché si tratta di un decoro semplice e omogeneo. Non avremmo operato in questo modo se si fosse trattato di un decoro di tipo figurativo, ma in questo caso non rischiavamo di fare un falso».


Luana De Micco, 02 marzo 2015 | © Riproduzione riservata

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