«Devouring Lovers» (2023) di Eva Fàbregas

© Eva Fàbregas. Staatliche Museen zu Berlin, Hamburger Bahnhof, Nationalgalerie der Gegenwart. Foto © Jacopo La Forgia

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«Devouring Lovers» (2023) di Eva Fàbregas

© Eva Fàbregas. Staatliche Museen zu Berlin, Hamburger Bahnhof, Nationalgalerie der Gegenwart. Foto © Jacopo La Forgia

Manifesta annuncia la sua prima edizione decentralizzata

La biennale nomade di origine olandese promette di potenziare l’ecosistema culturale dell’hinterland di Barcellona

Riuscirà la potente struttura di Manifesta, capitanata da Hedwig Fijen, ad attivare le località della cintura di Barcellona, un obiettivo perseguito a lungo senza successo dalle istituzioni catalane? Riuscirà a rendere così attraenti le iniziative da giustificare la visita del pubblico metropolitano, spesso restio perfino ad allontanarsi dal centro? Lo sapremo quando la 15ma edizione della biennale nomade europea Manifesta aprirà le sue porte a Barcellona e nei 12 comuni dell’area metropolitana coinvolti. 

Sarà dall’8 settembre al 24 di novembre, un periodo relativamente breve data la dimensione e il budget dell’evento, 9 milioni di euro, di cui solo 100mila sono a carico della fondazione olandese e il resto delle istituzioni pubbliche catalane. Per il momento hanno annunciato 43 (circa l’80%) degli artisti partecipanti, alcune delle produzioni in corso e gli obiettivi portanti: coinvolgere i cittadini, potenziare l’ecosistema culturale della cintura e promuovere una transizione socio-ecologica equilibrata. Il biglietto costerà 15 euro.

Dopo San Sebastián 2005 e Murcia 2010, è la terza volta che Manifesta sbarca in Spagna, ma è la prima della sua storia che elabora un programma decentralizzato in termini di approccio geografico, nonché di metodologia curatoriale e di tematica. La maggior parte dei partecipanti concentra la propria attività professionale su questioni ecologiche e storico sociali e sono stati quindi incoraggiati ad approfondire gli archivi locali, la tradizione orale e le genealogie pubbliche e private per interrogarsi collettivamente sulla relazione tra le storie locali, l’eredità coloniale e le ingiustizie climatiche.

In attesa di conoscere la selezione definitiva di artisti, più della metà locali, è già completamente chiuso l’elenco delle sedi che ospiteranno i progetti, la stragrande maggioranza delle quali non sono sale d’esposizione ed alcune sono abitualmente inaccessibili ai cittadini. «I musei sono stati espressamente evitati», ha sottolineato Hedwig Fijen.

«Chorus of Soil» (2023) di Binta Diaw. © Binta Diaw. Liverpool Biennial at Tobacco Warehouse. Foto © Mark McNulty

Tra i progetti in produzione spicca quello del collettivo Tornen les Esquelles, che si è lanciato in un’avventura poetica e utopica dal risultato incerto: recuperare e riaprire un antico sentiero per il bestiame che collegava Granollers con la spiaggia di Sant Adrià de Besòs. Altri esempi: Lola Lasurt presenterà a Casa Gomis del Prat de Llobregat un’opera ispirata ad Amics del Sol, collettivo pioniere del naturismo formatosi nel 1915; Félix Blume collocherà nel mare della spiaggia del Cocco di Badalona una macroinstallazione di canne di bambù; Binta Diaw darà voce alla comunità delle donne della diaspora africana a Can Trinxet de l’Hospitalet de Llobregat. 

La ricercatrice Tania Adam, fondatrice di Radio Africa, investigherà il passato schiavista della Catalogna, per estrarre dagli archivi, dove si occultano verità spesso scomode, «una genealogia di oppressione, violenza e sopravvivenza delle popolazioni nere dal XV secolo ai giorni nostri». Il lavoro di Adam si mostrerà nell’ex sede della casa editrice Gustavo Gili, dove si trova anche il centro operativo di Manifesta. Un’altra ricerca di grande interesse, come quella che analizza i modelli pedagogici d’avanguardia della Catalogna repubblicana, che aspiravano all’uguaglianza sociale e che furono ripristinati alla fine della dittatura franchista. 

«La Biennale, così sensibile all’educazione, farebbe bene ad affrontare il conflitto linguistico di matrice politica e repressiva che attualmente si subisce in Catalogna», sottolinea Maria Palau, critica d’arte del quotidiano in catalano «El Punt-Avui».

«House of Heroines» (2020) di Lara Schnitger. © Lara Schnitger. Ngv Triennial 2020. Foto © Tom Ross

Roberta Bosco, 08 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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