Stefano Miliani
Leggi i suoi articoliProducendo in laboratorio l’ossigeno atomico a partire dall’ossigeno molecolare (in natura si trova negli strati più alti dell’atmosfera tra gli 80 e i 300 chilometri dal suolo terrestre), si può valutarne l’impiego nel restauro di opere d’arte. Su questo fronte è in corso un progetto multidisciplinare europeo chiamato «Moxy» che impegna esperti di fisica del plasma, chimica, scienza della sostenibilità, restauro, conservazione dei beni culturali e riunisce in un consorzio più istituti, ognuno per un campo specifico. Ne fanno parte dal Belgio gli Atenei di Gand (l’ente coordinatore) e di Anversa, l’Università di Pisa per l’Italia, l’Ateneo di Amsterdam e l’Università Tecnica di Eindhoven per l’Olanda, la Galleria Nazionale della Danimarca di Copenaghen, il Museo Nazionale d’Arte Moderna di Stoccolma, il centro francese WeLoop, l’Icomos e il Kompiuterinis Procesu Valdymas da Vilnius in Lituania.
Ne parla Ilaria Bonaduce, professoressa del Dipartimento di chimica e chimica industriale dell’ateneo pisano dove lavora al progetto insieme a Celia Duce, Ilaria Degano, Alessia Andreotti, Silvia Pizzimenti e Jacopo La Nasa: «L’ossigeno atomico al livello del suolo non è stabile poiché è molto reattivo e, combinandosi, ad esempio, con altro ossigeno atomico, forma ossigeno molecolare, quello che respiriamo. Questa elevata reattività si può potenzialmente impiegare per rimuovere sporco, vandalismi e depositi dalle superfici di manufatti di interesse storico artistico, come dipinti, reperti archeologici, sculture in marmo. A Pisa lavoriamo per comprendere l’efficacia della pulitura con questo sistema e, in particolare, l’interazione chimica che si instaura tra l’ossigeno atomico e i materiali organici delle opere d’arte, ponendo una particolare attenzione ai dipinti moderni e contemporanei, così delicati e fragili. Indaghiamo anche quali gas vengono prodotti quando si pulisce un’opera con l’ossigeno atomico per tutelare la salute dei restauratori».
La chimica aggiunge: ««Essendo molto reattivo, l’ossigeno atomico negli strati alti dell’atmosfera corrodeva la superficie degli Shuttle. Per affrontare questo problema la Nasa ha prodotto un sistema per generare ossigeno atomico al livello del suolo e ha scoperto che può avere diverse applicazioni, per esempio in ambito medico». Il passaggio all’arte? Nel 1997 una persona un po’ ubriaca a una festa all’Andy Warhol Museum di Pittsburgh baciò «Bathtub» di Andy Warhol lasciando l’impronta del rossetto. Come ha ricostruito la Bbc, i sistemi di pulitura tradizionali si rivelarono inutili e, siccome il rossetto era ben adeso alla superficie pittorica, tentare di rimuoverlo poteva peggiorare la situazione. Dal museo chiesero aiuto alla Nasa che aveva usato l’ossigeno atomico per pulire piastrelle di satelliti. Il procedimento? Detto rozzamente, negli alti strati dell’atmosfera la radiazione ultravioletta scinde gli atomi dell’ossigeno in atomi singoli che sono altamente reattivi e si legano alla materia organica, producendo perlopiù acqua e anidride carbonica. La Nasa espose le piastrelle in una camera sottovuoto all’ossigeno atomico che interagì con lo sporco sulla loro superficie, dopo di che fu facile pulirle. Due scienziati dell’ente spaziale, Sharon Rutledge Miller e Bruce Banks, trovarono il modo di utilizzarlo sulla tela di Warhol.
«Da allora, racconta la scienziata 48enne, si sono sperimentate le sue applicazioni, ma non in modo continuo. Il progetto “Moxy” si occupa di produrre strumentazioni con caratteristiche idonee per la pulitura di manufatti di interesse storico artistico che siano in grado di direzionare il flusso dell’ossigeno atomico, gestirne la potenza, per testarlo in maniera sistematica su opere d’arte. Siamo nelle fasi esplorative. Cerchiamo di capire quali materiali rispondono meglio, per esempio se la pittura acrilica o quella a olio, quali tipologie di sporco, ridipinture, vernici o vandalismi questo elemento può rimuovere efficacemente, prima di procedere alla sperimentazione su opere d’arte vere e proprie. Al momento eseguiamo i test su materiali di riferimento preparati ad hoc. Ogni gruppo ha il suo compito. Uno ad esempio lavora per determinare l’impatto energetico di questo nuovo sistema di pulitura e valutare se può essere classificato come un metodo “green”». I tempi? «Il progetto dura quattro anni, risponde Ilaria Bonaduce. Entro un anno e mezzo o due sapremo su quali materiali orientarci e potremo procedere alle sperimentazioni più avanzate su manufatti storico artistici». Il finanziamento è dell’Unione Europea e in tutto ammonta a 4,99 milioni di euro.
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