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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliPare proprio che tutti non vedessero l’ora di sottoporsi alla «fair fatigue» dopo l’astinenza e la Fad (fiere a distanza) imposte da ciò che sappiamo. Ma allora che cosa è cambiato? Poco o nulla.
Chi può, visto che il rapporto tra vendite in fiera e in sede è di 70 a 30 (per cento), infierisce sui più deboli: di qui il ricorso, durante le fiere, a spazi pop up, luoghi dall’atmosfera sinistramente simile a quella delle vendite private organizzate dalle case d’asta.
Chi non può, resta a casa e muore, o limita il calendario fieristico all’essenziale. Siccome il mercato deve essere alimentato in tutte le fasce di generazione e prezzo per continuare a propagare e propagandare il verbo dell’arte contemporanea, la produzione di opere non conosce rallentamenti ed ecco perché le fiere diventano ancora più essenziali per smaltire la merce e liberare i magazzini.
La fiera logora chi non la fa, avrebbe detto qualcuno. C’è infine un aspetto non trascurabile. Per riempire i padiglioni in carenza di espositori internazionali, aspetto che ha caratterizzato tutte le fiere della ripartenza, da Basilea ad Artissima, i selezionatori hanno dovuto dismettere la puzza al naso e allargare le maglie della rete. Ma quando tutto tornerà davvero come prima, chi dirà ai refusé dell’altro ieri oggi ammessi a corte che per loro la fiera è già finita?

Una veduta dell’edizione del 2019 di Artissima
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