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Lo Stivale sott’acqua: la crisi climatica entro il 2100 rischia di cancellare il 40% delle coste

Il nuovo Rapporto della Società Geografica Italiano delinea uno scenario in cui, da qui a 70 anni, in cui Venezia e Cagliari potrebbero essere sommerse. Per invertire la rotta, l'auspicio è che si torni a rinaturalizzare i litorali. E che si applichino strategie di public geography «chiamata a scongiurare la sommersione delle coste assieme a quella delle nostre menti»

Il nuovo rapporto 2025 Paesaggi sommersi. Geografie della crisi climatica nei territori costieri italiani della Società Geografica Italiana (Sgi), presentato a Roma il 28 ottobre dai curatori Filippo Celata, della Sapienza Università di Roma e Stefano Soriani, dell’Università «Ca’ Foscari» di Venezia, prefigura uno scenario in cui il profili delle coste della penisola così come li conosciamo non esisteranno più a causa della crisi climatica. 

La fascia costiera italiana è stata trasformata «in una linea di costa fragile» e la sua «cancellazione» potrebbe essere molto più vicina di quanto si pensi: entro il 2050 l’Italia rischia di perdere il 20%  circa delle spiagge, percentuale che raddoppierà al 40% entro il 2100, interessando oltre «800mila le persone che vivono in territori sotto il livello del mare atteso (ovvero il livello al 2100) e che rischiano processi di ricollocazione, o che dovranno essere protetti da difese costiere artificiali sempre più pervasive». A causa dell'innalzamento del livello del mare, del rischio inondazione, dell'erosione e della pressione demografica e urbanistica, le aree più vulnerabili sono soprattutto l’Alto Adriatico, la costa intorno al Gargano, vari tratti della costa tirrenica tra Toscana e Campania, Cagliari e Oristano. La perdita potrebbe riguardare anche la metà delle infrastrutture portuali, diversi aeroporti, più del 10% delle superfici agricole, buona parte delle paludi, delle lagune e le zone costiere «anfibie», cominciando dal Delta del Po (qui nell'estate del 2023 il cuneo salino è risalito per oltre 20 km) e dalla Laguna di Venezia.

La fascia costiera, spiega il rapporto, «non è solo la zona in Italia con la maggior percentuale di suolo artificiale e urbanizzato, ma è anche un’area dove il consumo di suolo prosegue incessante. Questo nonostante diverse norme e politiche abbiano tentato di impedire nuove costruzioni nelle zone limitrofe alle coste. Norme quasi interamente inapplicate non solo per via dell’abusivismo, ma anche per il ruolo preponderante del turismo». Quasi un quarto del territorio entro i 300 metri dalla costa è in effetti coperto da strutture artificiali, a volte per quasi la metà della sua superficie: in Liguria, ad esempio, la percentuale tocca il 47% e nelle Marche il 45%; l’erosione costiera è accelerata anche delle barriere artificiali messe a protezione di più di un quarto delle coste basse; i porti e le infrastrutture connesse che si estendono per 2.250 km rischiano di essere «pesantemente compromesse, con gravi effetti sulla qualità dei sistemi logistici».

«L’unica alternativa è fare il contrario di quanto fatto fin qui: rinaturalizzare i litorali per sfruttare la loro capacità di adattamento» è l'auspicio del Rapporto, consultabile sul sito della Società Geografica Italiana. Un Rapporto la cui pubblicazione, si legge nella corale nota finale, «è un’azione tutt’altro che tecnica, istantanea e puntuale: è un processo che unisce ricerca, didattica e terza missione, richiede strategie di public geography oggi ineludibili, capaci di generare alleanze sociali, linguaggi creativi, strumenti partecipativi che giungano alla più ampia platea di pubblico, coniugando dimensione educativa e formazione continua in percorsi di lifelong learning sempre più importanti in un mondo in rapida evoluzione, per non lasciare indietro nessuno: una public geography chiamata a scongiurare la sommersione delle coste assieme a quella delle nostre menti».

 

 

 

 

 

 

 

Daria Berro, 31 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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