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Federico Florian
Leggi i suoi articoliPrima retrospettiva spagnola dedicata all’artista statunitense, nota esponente dell’Institutional Critique
In una delle sue più celebri video performance («Untitled», 2003), l’artista americana Andrea Fraser ha filmato il rapporto sessuale che ha avuto luogo in una stanza del Royalton Hotel di New York tra lei e un collezionista privato. Quest’ultimo pagò una somma di circa 20mila dollari «non per sesso», a detta di Fraser, «ma per fare un’opera d’arte». Lavoro audace e coraggioso, di stampo femminista, che s’interroga sul potere maschile nel mondo dell’arte contemporanea, nonché sul legame tra prostituzione e creazione artistica. Come in tutte le sue opere, la maggioranza delle quali ha un carattere performativo, la Fraser, classe 1965, s’interroga sulle dinamiche che regolano il sistema dell’arte, criticandone il funzionamento con uno sguardo da insider.
Il Macba di Barcellona, fino al 4 settembre, dedica all’artista statunitense, nota esponente dell’Institutional Critique, la prima retrospettiva spagnola, dal titolo «L’1% c’est moi». A cura di Cuauhtémoc Medina e Hiuwai Chu, la mostra raccoglie una selezione di lavori chiave dell’artista, realizzati nel corso di oltre trent’anni. Tra questi il celebre «Museum Highlights: A Gallery Talk» (1989), in cui la Fraser si spaccia per appassionata guida del Philadelphia Museum of Art, o «Little Frank and His Carp» (2001), che vede l’artista contorcersi dal piacere all’ascolto dell’audioguida museale nell’atrio del Guggenheim di Bilbao. In mostra anche installazioni, video e documenti, tra cui testi critici e script dell’artista, tradotti in spagnolo per l’occasione.
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