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Francesco Bandarin
Leggi i suoi articoliGiorgio Croci ci ha lasciato il 16 aprile scorso, dopo una lunga e difficile malattia. Il mondo della conservazione del patrimonio in Italia e all’estero ha già testimoniato la stima per quello che è stato il principale artefice di una rifondazione del restauro strutturale dei monumenti antichi. Vorrei qui ricordarlo come il grande professionista che è stato, ma anche come un amico con cui è stato appassionante affrontare complessi progetti di conservazione del patrimonio in ogni parte del mondo.
Giorgio è riuscito, nel corso di una lunga pratica professionale e di una continua ricerca teorica e dottrinale, a dare un chiaro orientamento a una disciplina che si trovava in un campo incerto, a metà strada tra architettura e ingegneria. Certo, nel mondo moderno il restauro architettonico si è sempre occupato degli aspetti strutturali dei monumenti e l’ingegneria è sempre intervenuta nei progetti di conservazione, con tecnologie via via più sofisticate.
Ma Giorgio è stato capace di produrre una sintesi brillante tra un approccio principalmente preoccupato dello «stile» del monumento e uno preoccupato della sua stabilità nel lungo periodo. Giorgio aveva maturato la sua esperienza di ingegnere con attività professionali di tipo classico e all’inizio, per almeno due decenni, si era occupati di ponti, strade, infrastrutture.
Ma la sua passione per il patrimonio lo avevano portato ad interessarsi, fin dagli anni Ottanta, alla questione del restauro strutturale dei monumenti, un tema relativamente marginale nell’ingegneria moderna, e non facile da affrontare dal punto di vista della conservazione dell’integrità e della autenticità del monumento.
Rapidamente, Giorgio era riuscito ad affermarsi come uno dei migliori progettisti di questi interventi «speciali» e a diventare un punto di riferimento per le più complesse operazioni di restauro strutturale, dal Colosseo al Palatino, dalla Basilica di Assisi danneggiata dal terremoto nel 1997 alle porte delle mura secolari di Seoul. In quegli anni, aveva partecipato al progetto per il consolidamento della Torre di Pisa come anche a quello per la salvaguardia della cupola di Santa Sofia a Istanbul, già crollata due volte nella sua storia a causa di terremoti.
Queste esperienze lo avevano spinto a sviluppare la riflessione sul restauro strutturale dei monumenti antichi e a perfezionare un approccio che metteva al centro del progetto di ingegneria il rispetto per il carattere, la storia e la dimensione artistica e patrimoniale del monumento. Un approccio che è stato poi affermato a livello internazionale, con la stesura della Carta Icomos sui «Principi per l’analisi, la conservazione e il restauro strutturale del patrimonio architettonico» che Giorgio ha curato per quasi dieci anni, fino all’approvazione del documento nel 2005.
Nel corso del mio lavoro all’Unesco, come direttore del Centro del Patrimonio Mondiale, ho avuto l’occasione di lavorare con Giorgio a progetti quali il restauro della cittadella di Bam, in Iran, distrutta da un terremoto nel 2003, il restauro del tempio di Prambanan in Indonesia, danneggiato dal terremoto del 2006, il piano di conservazione restauro della Città Vecchia di Gerusalemme, la conservazione e restauro dei templi di Angkor.
Giorgio aveva la capacità di entrare nella logica strutturale dei monumenti, di inventare diverse soluzioni progettuali alternative, da valutare e sperimentare sulla base di quello che era per lui il più importante dei criteri: il rispetto del monumento. Ma certamente l’avventura professionale più straordinaria che ho vissuto con lui è stato l’intervento per la reinstallazione dell’obelisco di Axum.
L’operazione, dopo lo smantellamento dell’obelisco a Roma e il suo trasporto in aereo ad Axum in Etiopia, sotto la responsabilità dell’Italia, venne affidata all’Unesco e diretta da lui sul piano progettuale e operativo. Il progetto prevedeva la realizzazione di una fondazione moderna, di una struttura a torre per il graduale sollevamento dei tre segmenti dell’obelisco e, infine, il loro definitivo fissaggio con l’uso di perni in fibra di carbonio.
Questa opera di ingegneria, unica nel suo genere per dimensioni e complessità, resterà a testimonianza delle grandi capacità progettuali di Giorgio, della sua visione e del suo spirito aperto e innovativo, qualità che gli hanno consentito di lasciarci una grande eredità culturale e il ricordo di un amico generoso, vitale, solare.
L'autore è stato direttore del Centro del Patrimonio Mondiale (2000-10) e vicedirettore generale dell’Unesco per la Cultura (2010-18)

Giorgio Croci a Bam nel gennaio 2004

Francesco Bandarin e Giorgio Croci ad Axum in Etiopia nel 2008
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