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Francesco Bandarin
Leggi i suoi articoliLa Groenlandia, la più grande isola del mondo, con un’estensione di 2,175 milioni di chilometri quadrati (oltre sette volte l’Italia), di cui 1,833 coperti da una calotta di ghiaccio che può raggiungere i 3mila metri di spessore, è stata nei mesi scorsi al centro delle cronache politiche per l’intenzione, annunciata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, di acquisirne la sovranità per meglio difendere gli interessi americani sul piano militare ed economico. Anche se non era questa la prima volta che gli Stati Uniti hanno cercato di prendere possesso dell’isola (ci provarono già nell’800 e dopo la prima e la seconda guerra mondiale), l’annuncio ha creato forti tensioni con la Danimarca, che secondo il diritto internazionale esercita la sovranità sull’isola, pur avendo delegato la gestione degli affari interni alle istituzioni locali. Questo ha anche risvegliato l’interesse del mondo per un angolo del pianeta che ancora oggi pochi conoscono e che ha invece una storia millenaria e un ricco patrimonio culturale e naturale.
A causa delle condizioni climatiche estreme delle zone polari e subpolari, la Groenlandia è stata l’ultima parte della terra raggiunta dalle migrazioni dell’Homo sapiens. Le prime tracce di un’occupazione umana risalgono a circa 4mila anni fa, durante un periodo relativamente caldo, quando popolazioni provenienti dall’Asia si mossero attraverso lo Stretto di Bering verso l’America settentrionale, occupando le zone subartiche fino ad allora inabitate. Questi gruppi umani occuparono diverse regioni della Groenlandia tra il 2500 e il 300 a.C. nel corso di successive fasi migratorie, che gli archeologi hanno classificato come Cultura Saqqaq (2500-800 a.C.), Cultura Indipendenza I e II (700-100 a.C. ca) e infine Cultura Dorset (700 a.C-300 d.C.). Dopo queste fasi, per alcuni secoli l’isola non vide l’insediamento permanente di gruppi umani, fino all’arrivo, nel X secolo, di un movimento migratorio del popolo Norse (i Vichinghi della Norvegia), che avevano già in precedenza colonizzato l’Islanda.

Una veduta della strada principale di Nuuk
La scoperta di quella che i Norse chiamarono la «Verde terra» si deve a una delle figure storiche più importanti delle saghe nordiche, Erik Thorvaldsson (950-1003), detto Erik il Rosso. Esiliato per un conflitto interno, nel 982 Erik si spinse a occidente dell’Islanda e scoprì la Groenlandia. I coloni Norse crearono diversi insediamenti, di cui quello più meridionale (detto «l’orientale») divenne rapidamente una colonia importante, raggiungendo i 5mila abitanti, mentre quello settentrionale (detto «l’occidentale») rimase più piccolo, con circa mille residenti. I coloni vivevano principalmente praticando l’agricoltura e l’allevamento di bovini, pecore e cavalli, in condizioni molto difficili, anche se all’epoca il clima della Groenlandia ere più caldo di quello attuale. Inoltre, veniva praticata la caccia al tricheco e al narvalo, che fornivano due preziosi materiali per il commercio con l’Europa: l’avorio e il caratteristico dente, che nel Medioevo veniva creduto essere il corno del mitico liocorno. Gli insediamenti Norse si svilupparono e sopravvissero per quasi quattro secoli, quando le colonie si indebolirono per il peggioramento delle condizioni climatiche connesso con l’arrivo della piccola glaciazione, che durò dal XV fino al XIX secolo.
Attorno alla fine del XII secolo, giunse in Groenlandia un popolo artico proveniente dalla Siberia e dall’Alaska: gli Inuit, la popolazione che ancora oggi costituisce la maggioranza degli abitanti della Groenlandia. I Norse e gli Inuit entrarono certamente in contatto, come hanno mostrato i ritrovamenti archeologici, e vi furono forse anche scontri tra le due comunità, anche se probabilmente la fine degli insediamenti Norse avvenne per abbandono da parte della madrepatria. La zona popolata dai Norse restò disabitata per almeno tre secoli, quando nuovi insediamenti, principalmente dedicati alla pesca e alla caccia alla balena, vennero fondati dal missionario danese Hans Egede (1686-1758). Con le Guerre napoleoniche, la Groenlandia si staccò dalla Norvegia e rimase con la Danimarca, di cui divenne di fatto una colonia. Fu solo nel 1979 che alla Groenlandia fu concessa l’autonomia nella gestione degli affari interni, mentre la politica estera e la difesa restano tuttora prerogativa del Governo danese. Queste vicende storiche hanno lasciato tracce visibili nel patrimonio dell’isola, che è stato riconosciuto a livello internazionale.

Una veduta del Fiordo ghiacciato di Ilulissat
Oggi ci sono in Groenlandia ben tre siti del Patrimonio mondiale dell’Unesco, e alcune tra le aree naturali protette più grandi del mondo. Il sito naturale più conosciuto è il Fiordo ghiacciato di Ilulissat, presso la splendida Disko Bay al centro della costa occidentale dell’isola. Il fiordo, che si estende per oltre 40 chilometri, contiene uno dei più grandi ghiacciai dell’emisfero nord, che raccoglie il 20% di tutto il ghiaccio della calotta della Groenlandia e scarica nella Baia di Baffin oltre 20 miliardi di tonnellate di ghiaccio ogni anno. È questo un sito di immensa bellezza, la cui importanza scientifica attira molti ricercatori e, in modo crescente, visitatori da tutto il mondo interessati alla vita delle comunità Inuit che nel tempo si sono insediate nella zona. Le due principali culture che hanno caratterizzato la storia della Groenlandia, quella dei Norse e quella degli Inuit, sono rappresentate in altri due siti Unesco: il sito di Kujataa e quello di Aasivissuit-Nipisat, entrambi lungo la costa occidentale. Il sito di Kujataa è un paesaggio culturale che include i resti del cosiddetto insediamento orientale dei Norse (Eystribyggd) vicino alla punta meridionale dell’isola, ed è composto da cinque aree, con caratteristiche diverse a seconda dei tipi di occupazione: Qassiarsuk, che ha la maggiore concentrazione di siti archeologici dei primi insediamenti; Igaliku, dove viveva il vescovo e dove si trovano quindi le rovine del palazzo episcopale oltre a granai e altre strutture, e Qaqortukulooq, dove si trovano altre rovine dei siti Norse, tra cui la Chiesa di Hvalsey e anche tracce di insediamenti Inuit. Il sito di Aasivissuit-Nipisat, a circa 300 chilometri a nord della capitale Nuuk, è un paesaggio culturale rappresentativo della storia e della vita materiale degli Inuit. Il sito include esempi degli insediamenti nelle aree di caccia e del patrimonio culturale legato al clima, alla navigazione e alla medicina, che nei millenni ha consentito la sopravvivenza degli Inuit in un ambiente tremendamente avverso.

Una veduta della Chiesa di Hvalsey
Molti altri siti culturali, meno conosciuti e frequentati, sono presenti lungo le coste della Groenlandia: si tratta principalmente di antichi insediamenti delle popolazioni Dorset e Inuit, che risalgono fino a 800 anni fa, molto difficili da raggiungere, considerata la vastità del territorio, ma che si possono visitare nell’ambito di crociere artiche organizzate nella stagione estiva. La Groenlandia, che pure è una delle zone meno antropizzate del pianeta, ha esteso la protezione delle aree naturali a una grande parte del suo territorio. Qui si trova infatti il parco naturale più grande del mondo, il Parco Nazionale della Groenlandia Nordorientale, che ha una superficie di 972mila chilometri quadrati (il 45% della superficie dell’isola), creato nel 1974. Questo immenso parco naturale non ha alcun insediamento umano permanente, anche se 400 siti sono utilizzati nella stagione estiva da ricercatori, gestori del parco e visitatori occasionali. Naturalmente, è abbondante la fauna artica, con la presenza di animali quali il bue muschiato, l’orso polare, il tricheco, la volpe artica, vari tipi di foche, il narvalo e la balena beluga. Questo ambiente quasi completamente intatto non è privo di problemi e molte minacce si stanno addensando all’orizzonte. La prima è il cambiamento climatico che sta portando a una forte accelerazione dello scioglimento del ghiaccio. Negli ultimi trent’anni, la calotta ha perso oltre 4.700 miliardi di tonnellate di ghiaccio, contribuendo all’innalzamento del livello del mare di 1,2 centimetri. Questo processo è stato accelerato dall’allungamento della stagione estiva nell’artico, da ondate di calore e dall’aumento della temperatura degli oceani. Lo scioglimento della calotta della Groenlandia potrebbe diventare uno dei fattori più importanti dell’innalzamento del livello dei mari nei prossimi decenni. Inoltre, è probabile un aumento delle attività militari e di sfruttamento minerario nell’isola, con un impatto che non è ancora quantificabile. Ricordiamo che nel 1968 un B52 delle forze aeree americane con a bordo quattro bombe atomiche si inabissò nei pressi della base americana di Thule (oggi Pituffik Space Base) nel nord-ovest dell’isola. Una delle bombe atomiche non è stata mai ritrovata e giace sul fondale della Baia di Baffin, con un rischio significativo di inquinamento radioattivo. Il turismo ha ancora dimensioni relativamente contenute, con cifre che si aggirano sulle 120mila presenze l’anno, di cui il 65% con crociere organizzate. Ma la recente apertura dell’aeroporto internazionale della capitale Nuuk ha creato le condizioni per un forte sviluppo del turismo, che potrebbe portare a conseguenze negative in un ambiente naturale e culturale di estrema fragilità.

Una veduta del Parco Nazionale della Groenlandia Nordorientale
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