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Omar Mismar, «Ahmad with the sponge», 2025

Courtesy the artist and Secci

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Omar Mismar, «Ahmad with the sponge», 2025

Courtesy the artist and Secci

L’«estetica del disastro» nei mosaici di Omar Mismar

Reduce dal successo riscosso con i suoi mosaici alla 60ma Biennale Arte di Venezia, l’artista libanese presenta ora a Milano, alla galleria Secci, nuovi lavori realizzati con la stessa tecnica e con media diversi

In tempi in cui le rovine di guerra occupano, tragicamente, il nostro spazio visivo e mentale, artisti e curatori guardano con sempre maggiore attenzione a questo tema. Così, se nel Complesso Monumentale di Santa Croce a Bosco Marengo (Alessandria) ha appena preso il via il progetto triennale intitolato «Ruins», «Exercises in Ruins» è il titolo della personale (la prima in Italia) dell’artista libanese Omar Mismar (1986), secondo appuntamento del progetto espositivo biennale «Novo» curato da Marco Scotini, presentato dal 18 settembre al 20 dicembre da Secci Milano, in via Olmetto 1.

Reduce dal successo riscosso con i suoi mosaici alla 60ma Biennale Arte di Venezia, l’artista presenta ora a Milano nuovi lavori realizzati con la stessa tecnica e con media diversi, unificati dal tema, spiega Scotini, «del carattere politico del rapporto tra desiderio e assenza, dove il desiderio va letto come impossibilità della presenza». E poiché si è formato nel dibattito intorno alle cosiddette «primavere arabe» e alla loro rappresentazione, Omar Mismar ha elaborato quella che lui stesso definisce un’«estetica del disastro» con la quale, come suggerisce il curatore, «mette in discussione la veridicità dell’immagine documentale, proponendo un’alternativa all’iperrealismo dei nuovi dispositivi visivi. Le rovine del disastro in Mismar non sono tanto quelle di un’esplosione visibile quanto il risultato di un’assenza, di un fallimento, di una rottura meno percepibili».

Così, l’attenzione per i mosaici, scaturita nel 2015 dal dialogo con Abou Farid, uno dei «Monuments Men» siriani che cercavano di sottrarre quei preziosi manufatti alla distruzione causata dal regime di Bashar al-Assad, continua a generare nuovi lavori musivi, che nella sua ricerca si saldano però con la suggestione dei pixel di quelle immagini digitali che ormai invadono il suo e il nostro quotidiano.

Al dramma infinito di Gaza sono dedicati i tre grandiosi pannelli musivi esposti nel primo spazio della galleria: in essi scorre la storia, così simbolica, di Salman al-Nabahin e di suo figlio Ahmad che nel campo profughi di Bureij, nella Striscia di Gaza, cercano tenacemente di coltivare gli olivi e che, lavorando la terra, trovano un mosaico bizantino.

Nelle sale successive, con la serie «Torsos» (2025) ci s’imbatte in immagini di uomini allacciati tratte da app di incontri, tradotte attraverso le tessere musive in finti reperti archeologici, mentre il neon rosso del ciclo «The Path of Love» del 2013 (la traccia del percorso compiuto dall’artista a San Francisco per raggiungere il luogo di un appuntamento notturno fissato sull’app Grindr), ci parla del desiderio dell’altro, spesso frustrato da errori e intermittenze dell’app stessa: «il disastro, commenta Scotini, è l’impossibilità della relazione, il venir meno della comunicazione ma anche l’irriducibile desiderio che essa avvenga». 

Ada Masoero, 12 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

L’«estetica del disastro» nei mosaici di Omar Mismar | Ada Masoero

L’«estetica del disastro» nei mosaici di Omar Mismar | Ada Masoero