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Cecilia Paccagnella
Leggi i suoi articoliA cavallo tra luglio e agosto 2015, nella Fabbrica Rosa fu allestita «Pretenzione Intenzione», una mostra-evento per rievocare un’ultima volta (prima di essere destinata a nuove funzioni) il ruolo della casa di Maggia, in Canton Ticino, nella vita di Harald Szeemann: per trent’anni anche studio, nonché luogo dove colui che rivoluzionò il concetto di curatela si raccoglieva per creare, riflettere e archiviare la propria produzione di idee e progetti.
Dieci anni dopo, il complesso museale Monte Verità di Ascona rende omaggio a quell’intento mettendo in scena una parte nascosta di Szeemann (Berna, 1933-Locarno, 2005) e offrendo un nuovo sguardo all’interno di quello che lui stesso definì «Museo delle Ossessioni». Concepito come Wunderkammer mentale, questo concetto sfociava nel concreto della sua dimora-archivio, in cui trovò collocazione una serie di oggetti da lui «raccolti» negli anni, guidato da un instancabile spirito di ricerca.

Uno degli oggetti esposti nella mostra «Pretenzione Intenzione-Objects of Beauty and Bewilderment from the Archive of Harald Szeemann». Photo: Bohdan Stehlik

Uno degli oggetti esposti nella mostra «Pretenzione Intenzione-Objects of Beauty and Bewilderment from the Archive of Harald Szeemann». Photo: Bohdan Stehlik
Con la mostra «Pretenzione Intenzione-Objects of Beauty and Bewilderment from the Archive of Harald Szeemann», i curatori Una Szeemann, Michele Robecchi, Bohdan Stehlik e Nicoletta Mongini, e gli autori dell’omonimo libro, Hayat Erdoğan, Simone Lappert, Raimundas Malašauskas, Michele Robecchi, Una Szeemann e Michael Taussig, hanno voluto intraprendere un viaggio «antropologico» nel mondo di Szeemann in occasione del ventesimo anniversario dalla sua morte.
Il 19 luglio, alle 17.30, sarà presentato in anteprima al pubblico il volume edito da Edition Patrick Frey e, a seguire, alle 19 sarà inaugurata l’esposizione nelle capanne aria-luce Casa Selma e Casa dei Russi (fino al 31 agosto).
Nel proprio saggio, Erdoğan definisce i protagonisti di questo doppio appuntamento «reliquie profane», perché talmente importanti, al limite del sacro, per Szeemann che decise di conservarle e trovare loro uno spazio nella Fabbrica Rosa. Ognuna, pregna di tempo e di storia, rimane però incompresa agli occhi di chiunque altro. Forse proprio per questo motivo, per un errore di valutazione o perché sottovalutati, tali oggetti non sono rientrati nell’acquisizione dell’archivio, dopo la sua morte, da parte del Getty Research Institute di Los Angeles, né nella parte relativa alla storia di Monte Verità, oggi all’Archivio di Stato del Canton Ticino. Custoditi quindi dai famigliari, vedono oggi la luce sotto forma di opere d’arte (fotografate in bianco e nero da Stehlik e riprodotte nel libro), fornendo un punto di vista intimo che va a scavare dietro le quinte dell’attività e della vita del curatore svizzero.

La copertina del volume