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«Autoritratto», di Mario De Maria (particolare). Collezione privata

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«Autoritratto», di Mario De Maria (particolare). Collezione privata

Le parole dell’ombra e della luce di Marius Pictor

Il Museo dell’Ottocento di Bologna dedica al pittore simbolista bolognese Mario De Maria la prima mostra antologica

Stefano Luppi

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Il pittore simbolista bolognese Mario De Maria (1852-1924), noto anche come «Marius Pictor», nacque in una famiglia feconda dal punto di vista intellettuale artistico perché il padre Fabio, medico e collezionista d’arte, era a sua volta figlio di Giacomo De Maria (1762-1838), scultore emiliano, allievo e amico di Antonio Canova. Oggi Mario De Maria è meno noto di quanto lo fosse in vita, dunque ben ha fatto il Museo dell’Ottocento di Bologna a dedicargli la prima antologica «Ombra Cara. Mario De Maria, “Marius Pictor” (1852-1924)».

Marius Pictor ebbe una vita intensa, andando ben oltre gli agi di una famiglia borghese: viaggiò in tutte le capitali europee e si stabilì per lunghi anni a Venezia a partire dal 1892. Qui, in una casa-studio alle Zattere, visse con la moglie Emilia Elena Voigt di Brema e si costruì un ruolo di primo piano nei «salotti» culturali: partecipò, ad esempio, alle battaglie dialettiche di Pompeo Gherardo Molmenti per la salvaguardia del centro storico (siamo sul finire del XIX secolo, come si vede a Venezia certi temi sono ormai plurisecolari), agli incontri che precedettero la nascita della Biennale di Venezia, a cui partecipò poi ben dieci volte e per la quale nel 1894-95 progettò la facciata neoclassica del Palazzo dell’Esposizione ai Giardini di Castello (dopo la formalizzazione del 19 aprile 1893 di Riccardo Selvatico, Antonio Fradeletto e Giovanni Bordiga, la prima edizione fu inaugurata il 30 aprile 1895) e in generale alla vita culturale cittadina che vedeva al contempo impegnati Gabriele D’Annunzio (conosciuto a Roma, dove De Maria fondò anche il gruppo «In Arte Libertas» con soci Giulio Aristide Sartorio, Dante Gabriel Rossetti, Arnold Böcklin), Eleonora Duse e Mariano Fortuny.
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La famiglia De Maria, oltre a questo protagonismo sociale, visse anche tragedie personali: nel 1904 morì giovanissima la figlia Silvia e l’artista poco dopo decise di dedicarle la celebre neogotica «Casa dei tre Oci» alla Giudecca (detta «dei tre occhi» proprio per ricordare i tre superstiti, la moglie Emilia Elena, l’altro figlio Astolfo e lui stesso), un luogo espositivo ancora ben noto terminato nel 1913 e divenuto nuova residenza dei De Maria. Una figura, dunque, densa di significati e da riscoprire proprio con la mostra, curata da Francesca Sinigaglia e visitabile dal 21 marzo al 30 giugno, composta da 70 dipinti in parte inediti, come la «Salomè» (1890 ca), opera di grandi dimensioni recentemente ritrovata, disposti in sette sezioni e prestati da musei come gli Uffizi, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, la Galleria d’Arte Moderna di Milano e collezioni private italiane ed estere.

Quella di De Maria è una pittura «decadente», estetizzante, simbolista, una pittura che «tradusse nel colore le parole dell’ombra e della luce» com’è scritto sulla sua tomba alla Certosa di Bologna. Numerose tra le opere esposte quelle a cavallo tra i due secoli, come «La luna che torna sulla madre terra» del 1903, mentre centrale nel suo percorso è «Ombra cara» (1911-14) realizzata in ricordo dall’amico Vittore Grubicy de Dragon. La mostra si conclude indagando il rapporto tra De Maria e le città di Asolo, altro luogo d’elezione, con la serie dedicata alla «Putredine della Casa di Satana».

Stefano Luppi, 19 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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Le parole dell’ombra e della luce di Marius Pictor | Stefano Luppi

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