Bozzetto di Onis 135

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Bozzetto di Onis 135

La frontiera dei graffiti italiani

Attraverso 181 bozzetti su carta il MAMbo omaggia la ricerca di Francesca Alinovi con una mostra sui writer italiani degli ultimi quattro decenni 

Il sistema dell’arte non dimentica la studiosa e ricercatrice universitaria Francesca Alinovi (Parma, 1948-Bologna, 1983), ancora oggi ricordata certo per la morte per omicidio il 12 giugno 1983, quando il suo corpo venne ritrovato nel suo appartamento a Bologna, ma soprattutto per i suoi studi pionieristici dedicati ai fenomeni artistici più sperimentali dei decenni ’70 e ’80 di qua e al di là dell’oceano, negli Usa. Ne è nata, aperta dal 13 aprile al 13 luglio nel MAMbo-Museo d’Arte Moderna di Bologna, «Frontiera 40 Italian Style Writing 1984-2024», mostra che nasce dalla lunga ricerca condotta dalla curatrice Fabiola Naldi intorno al percorso intellettuale della docente Dams dell’Alma Mater. 

Dottoressa Naldi, quali sono stati i contributi più importanti di Francesca Alinovi? 
È stata una ricercatrice, una docente universitaria e una critica militante molto importante tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta. Oltre a numerose mostre personali e collettive, spesso coordinate insieme a Renato Barilli (Bologna, 1935), come la «Settimana internazionale della performance» alla Galleria comunale d’Arte moderna di Bologna, dal 1977 al 1982, «Pittura-Ambiente» in Palazzo Reale a Milano nel 1979, «Dieci anni dopo. I Nuovi Nuovi» nella Galleria d’Arte moderna di Bologna nel 1980, «Registrazione di frequenze», due anni dopo nel medesimo luogo, e «Una generazione postmoderna», a Palazzo Reale di Milano sempre nell’82, ha pubblicato importanti articoli, saggi e monografie attorno all’arte contemporanea, ancora oggi degni di lettura. 

Perché questi scritti si continuano a ritenere di rilievo?
La studiosa ha saputo comprendere, con lungimiranza, come molte delle pratiche di arte urbana, esplose negli anni Settanta, sarebbero diventate indiscutibili nei decenni successivi. 

Perché questa mostra, dopo che lo scorso anno sono stati realizzati appuntamenti in occasione dei 40 anni dalla morte violenta? 
Nel marzo 1984, alla Galleria d’Arte moderna, oggi divenuta MAMbo, inaugurava la mostra «Arte di frontiera. New York Graffiti», ultimo desiderio critico di Francesca Alinovi scomparsa nove mesi prima. La rassegna era stata in parte già ideata negli anni precedenti, ma non realizzata: pensare, 40 anni dopo, al lascito storico di quella ricerca e di quel progetto espositivo, significa ricordare Alinovi e riflettere sull’eredità del suo pensiero nel tessuto della cultura visiva, fino ad oggi. «Frontiera 40» non è una mostra su Francesca Alinovi, ma omaggia l’anniversario e la ricerca della ricercatrice con un progetto nuovo che attraversa stilisticamente gli ultimi quattro decenni.

Fabiola Naldi. Foto: Alessandro Ruggeri

Come ha immaginato la mostra? 
Presenta il processo creativo di diverse generazioni di writer italiani attraverso i loro bozzetti: disegni preparatori e testimonianze stilistiche, forme espressive uniche e generative raramente esposte. Le 181 opere su carta scelte sono inserite in dispositivi «mobili», undici teche allestite in diversi ambienti del museo immaginato come spazio accessibile in ogni sua parte. «Frontiera 40» non ripercorre «Arte di Frontiera», ma la usa come pretesto, come occasione per riflettere su che cosa è successo dopo quell’esposizione nel fenomeno dei graffiti italiani. 

Alinovi parlava e scriveva di «L’Arte Mia» e «Arte di frontiera»: che cosa intendeva e come si aggiorna ai tempi odierni? 
Gli anni in cui scriveva Alinovi erano molto diversi da oggi. Era ancora possibile ipotizzare altre e nuove avanguardie e difendere il proprio pensiero critico attraverso testi e mostre, in grado di potenziare e allargare la ricerca. «L’Arte mia» di Alinovi è un manifesto, una dichiarazione visionaria di intenti che mai, e aggiungo purtroppo, sapremo quali frutti avrebbe potuto dare. È stata tolta a Francesca la possibilità di scegliere, di crescere, di maturare. «Arte di Frontiera» resta, ancora, uno spaccato teorico critico illuminante sul rapporto fra l’arte urbana e i processi artistici già allora esterni ai contesti prestabiliti. Ma, sopratutto, Alinovi riconosceva nelle pratiche spontanee e non autorizzate qualcosa di molto più complesso che, nei decenni successivi, avrebbe confermato tale pionieristica visione. 

Nel documentario «I am not alone anyway» (2017), che ripercorre la parabola esistenziale di Francesca Alinovi, c’è una toccante testimonianza dell’hair stylist bolognese Marco Orea Malià: per la mostra lei ha contattato qualcuno? 
Studio e scrivo di lei da oltre un decennio e conosco molti di coloro che hanno lavorato con Alinovi. Io resto a ciò che ha scritto e ha teorizzato e ancora oggi non ne so abbastanza, c’è ancora da riflettere su quanto ci ha lasciato. Mi relaziono però sempre con la sorella Brenna Alinovi, perché credo che l’intera famiglia debba essere messa a conoscenza di ciò che si recupera del suo lavoro critico. 

Stefano Luppi, 12 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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La frontiera dei graffiti italiani | Stefano Luppi

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