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Nico Krijno, «The Constellation (1)» dalla serie «Collages 2020-22» (particolare)

© Nico Krijno

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Nico Krijno, «The Constellation (1)» dalla serie «Collages 2020-22» (particolare)

© Nico Krijno

Le immagini di Nico Krijno, «intelligenti e semplici, complicate senza sapere di esserlo»

In occasione di una mostra in Svizzera, l’artista sudafricano racconta come spinge la fotografia oltre i suoi limiti «per rivelare qualcosa che risiede sotto la superficie del mondo visibile»

Fino al 20 luglio, l’Appartement-Espace Images Vevey, in Svizzera, presenta due artisti provenienti dal continente africano, portatori di visioni differenti ma in qualche modo complementari: Nico Krijno (Sud Africa, 1981) e James Barnor (Ghana, 1929). Due paesi, due generazioni, due modi di esplorare la realtà (e i suoi limiti) attraverso l’immagine fotografica, che generano un dialogo arricchente non solo per il pubblico, ma anche per loro stessi.

Per l’occasione, abbiamo intervistato Nico Krijno per approfondire meglio il suo lavoro, ancora poco conosciuto in Italia. Artista multidisciplinare che esplora i confini tra fotografia, collage, pittura e performance, Krijno sonda la percezione dell’atto visivo attraverso un approccio materico e sensoriale, che si esprime in composizioni vorticose e per questo irresistibili.

In passato ha affermato che la fotografia per lei è più un palcoscenico che una finestra sul mondo. Ci può spiegare che cosa intende?
Per me, la cornice fotografica è uno spazio costruito, un palcoscenico teatrale dove si fabbricano ed esplorano nuove realtà. Alla base c’è un processo di «elettrobricolage», in cui combino elementi fisici e digitali attraverso la manipolazione digitale delle immagini o l’uso di scansioni. Questo approccio mira a evidenziare l’assurdità della rappresentazione visiva del mondo, offrendo prove inaffidabili di una realtà frammentata, ed enfatizza l’aspetto performativo rispetto al prodotto finito. Si tratta di riconoscere l’artificialità intrinseca dell’immagine fotografica e di utilizzare tale artificialità come strumento creativo. Sovrapponendo le immagini, creo interruzioni e relazioni inaspettate che non esisterebbero in un singolo scatto. Questo mi permette di esplorare la plasticità del mezzo fotografico, trattandolo come un materiale da scolpire. La cornice fotografica diventa uno spazio in cui il tempo può essere compresso o espanso, dove oggetti familiari possono assumere nuovi significati e dove i confini tra realtà diverse possono diventare sfumati. È un modo di interagire con il mondo e i suoi codici visivi in modo più attivo, soggettivo e, in definitiva, più fantasioso.

Nico Krijno, «Lockdown (126)». © Nico Krijno

Sembra che il suo lavoro si confronti più con i limiti della fotografia che con il suo potenziale. Che cosa ne pensa?
Per me, l’esplorazione dei limiti della fotografia è intrinsecamente legata alla comprensione del suo potenziale. È spingendosi oltre quei confini percepiti che la vera natura e le possibilità di questo mezzo iniziano a rivelarsi. Lo vedo meno come un atto deliberato di negazione e più come una forma di indagine critica. La stratificazione, le manipolazioni, l’ambiguità deliberata sono tutti strumenti per andare oltre la semplice rappresentazione e attingere al potenziale sensoriale ed emotivo dell’immagine fotografica. Mettendo in primo piano la natura costruita dell’immagine, giocando con la sua materialità e il suo rapporto con il tempo e lo spazio, cerco di creare qualcosa che risuoni a un livello più viscerale, qualcosa che rimanga oltre il riconoscimento visivo iniziale. Quindi, anche se può sembrare che mi riferisca ai limiti della fotografia, io vedo il mio lavoro come un’indagine concreta sulle possibilità ampliate di ciò che una fotografia può essere e può fare. Sono attratto dall’immagine instabile, che rifiuta di essere categorizzata, che esiste in uno stato di flusso. Mi interessa spingere la fotografia oltre i suoi limiti convenzionali per rivelare qualcosa che risiede sotto la superficie del mondo visibile.

Come realizza le opere con lo scanner?
Utilizzo varie tecniche di sovrapposizione «fisiche». Ho un enorme archivio di immagini, raccolte nel corso degli anni. Molte provengono da vecchi libri sudafricani di storia, animali, composizioni floreali, oppure sono immagini del mio archivio personale, scarti di vari progetti. Stampo alcune copie in formato A4 su carta o su lucidi e inizio a metterle insieme sullo scanner. L’unica regola rigida che mi sono imposto è di non utilizzare immagini prese da Internet.

Ha spesso affermato di non essere particolarmente interessato al collage come pratica in sé. Perché, allora, spesso adotta questa tecnica?
Non amo le etichette, mi piace reinventare e giocare con le immagini. Non mi ha mai interessato molto il collage, perché ha un’estetica ben codificata, basata sul taglia e incolla. Lo scanner per me è solo uno strumento, come lo è la macchina fotografica per realizzare nuove immagini.

Nico Krijno, «The Cave Is The Key». © Nico Krijno

Le sue immagini ricordano quel momento «vertiginoso» che compariva sulle televisioni analogiche quando mancava il segnale. Lestetica visiva degli anni 90 ha influenzato il suo lavoro?
Sono cresciuto negli anni ’90, circondato dai Vhs. Quel tipo di rumore visivo fa sicuramente parte del mio immaginario. Tuttavia, il mio interesse per le distorsioni visive non riguarda tanto l’estetica del «glitch» in sé, quanto il sottoprodotto del movimento e della trasformazione all’interno del processo di creazione dell’immagine. Il mio focus non è tanto sul glitch come elemento stilistico di disturbo, quanto sul movimento sottostante che guida la mia esplorazione dell’immagine fotografica. Quando manipolo le immagini sullo scanner, le distorsioni che ne risultano, quei momenti in cui la nitidezza si rompe, non sono il fine ultimo. Rivelano invece una sorta di energia latente e il dinamismo all’interno del materiale fotografico. È il movimento insito nel processo di scansione e stratificazione che mi affascina davvero. Prendo un’immagine statica e introduco un senso di divenire, uno svolgersi visivo. Questo modo di pensare è probabilmente legato al mio background formativo nel cinema, che mi ha instillato una sensibilità per la narrazione e la temporalità. Vedo le immagini non come momenti congelati, ma come sequenze condensate, echi di movimento catturati in un singolo fotogramma. La «vertigine» che si percepisce non è necessariamente un fallimento dell’immagine, ma piuttosto una traccia del suo percorso, una registrazione della sua stessa creazione.

Credo sia importante sottolineare che il suo lavoro non è puramente estetico. Come si relazione alla società odierna?
Non vedo il mio lavoro come qualcosa di isolato dal mondo: non è solo un esercizio estetico, anche se il linguaggio visivo è ovviamente una componente fondamentale. Per me la fotografia è un modo di interagire con i sistemi: della percezione, della memoria, della cultura. La stratificazione, la frammentazione e la natura costruita delle mie immagini riflettono l’esperienza frammentata e spesso contraddittoria della vita contemporanea. Viviamo in una società in cui la realtà è mediata all’infinito attraverso schermi. La mia pratica mette in discussione questa mediazione. Giocando con la forma, ricontestualizzando materiali trovati o costruendo composizioni volutamente ambigue, pongo domande su ciò che consumiamo, ciò in cui crediamo e come vediamo. Spesso nelle mie opere c’è anche umorismo o assurdità, che ritengo fondamentali. È un modo per resistere all’effetto appiattente della serietà, per aprire uno spazio all’incertezza o ai significati multipli. Mi piacciono le immagini intelligenti e semplici, complicate senza sapere di esserlo. Il mio lavoro risponde alla società rispecchiandone l’instabilità, ma anche offrendo una sorta di resistenza. Mi interessa creare immagini che rallentano il tempo, che richiedono attenzione, che rifiutano risposte facili. Sono nato prima di Internet, e ora ho l’impressione di trovarmi di fronte alla sua fine, almeno nella forma che abbiamo conosciuto: in soli due anni è già cambiato drasticamente, trasformandosi in un ammasso di contenuti generati dall’Intelligenza Artificiale. Il discernimento non è mai stato così importante come in questi tempi folli! E a me va bene, indosso il mondo come un cappotto largo, che posso sfilare in ogni momento. Sto un po’ dentro e un po’ fuori!

Nico Krijno, «The Constellation (2)» dalla serie «Collages 2020-22». © Nico Krijno

Lei vive in una fattoria, se ricordo bene. In che modo il suo stile di vita a contatto con la natura influisce sulla sua arte? Quanto è importante per lei prendersi del tempo, rallentare?
Ho vissuto in diverse fattorie. Al momento sto vivendo un po’ da nomade, viaggiando molto. Le fattorie sono un posto fantastico per crescere le mie figlie e avere accesso a spazi economici dove creare. Mi piace lavorare all’aperto. Ho spesso bisogno di andare da qualche parte da solo per pensare e creare, connettermi, stare fermo, ascoltare, lontano dalle distrazioni e dalla routine quotidiana. E poi tornare alla città, dove puoi stare da solo, ma circondato da persone. Mi piace lavorare in Sudafrica, ma faccio fatica a viverci, ci sono pochissime risorse nel mondo dell’arte e in generale non c’è abbastanza movimento in termini di mercato o relazioni professionali. Al momento mi sposto tra Sudafrica e Europa.

Sta lavorando a qualche nuovo progetto al momento?
Ora mi trovo in una fattoria in Sudafrica, dove posso trascorrere del tempo di qualità con le mie due bambine, fare ricerche, sperimentare alcune idee per dei lavori video e pianificare la mia prossima avventura. Il cottage dove viviamo temporaneamente è pieno di volumi esoterici, molti libri di Goethe, ha una luce fantastica e c’è la connessione Internet più lenta del mondo, 2mb. Qui sto finendo di lavorare al mio nuovo libro, sono proprio alle fasi finali dell’impaginazione e del design. È una pubblicazione che comprende i lavori degli ultimi tre anni e mira a mostrare maggiormente il processo dietro le immagini. Credo proprio che ad oggi sia il mio lavoro migliore!

Rica Cerbarano, 11 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

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