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Nel momento in cui Francesco Hayez (Venezia, 1791-Milano, 1882) s’imponeva sulla scena milanese come campione della pittura romantica, il marchese Febo d’Adda, colto allievo di Giuseppe Parini, avviava il restyling in gusto tardo-neoclassico di quel suo gran palazzo (oggi Palazzo Borromeo d’Adda, in via Manzoni 41) che indusse Stendhal a scrivere nell’autobiografia: «Entrai in un magnifico cortile, scesi da cavallo molto meravigliato e, ammirando tutto, salii per una superba scalinata. Presto mi ritrovai in una sala stupenda che dava sulla via. Ero affascinato, era la prima volta che l’architettura mi faceva questo effetto»: primo sintomo della sindrome da «troppa bellezza» che da lui prese il nome.
Le gallerie antiquarie W. Apolloni e Brun Fine Art non avrebbero perciò potuto scegliere un fondale più adeguato di questo palazzo, che ai tempi di Febo d’Adda era un vero cenacolo di cultura, per presentare (fino al 13 dicembre) la preziosa mostra «Ritratti della Milano romantica»: un percorso che ruota intorno alla figura di Hayez, grande protagonista, circondato però da comprimari di grande valore. Ed è proprio sullo scalone che tanto colpì Stendhal che la mostra si annuncia, con il monumentale, drammatico dipinto di Carlo Arienti «Una scena della “Congiura dei Pazzi”», 1837, ispirato alla tragedia di Vittorio Alfieri, in cui Bianca de’ Medici, con i figli, cerca invano di trattenere il marito Raimondo (Francesco) Pazzi, incoraggiato invece dal padre a portare a termine il loro progetto, fallito, di abbattere l’egemonia dei Medici.
Francesco Hayez, «Maddalena penitente (ritratto di Carolina Zucchi come Maddalena)», 1822 ca. Collezione Brun Fine Art
Francesco Hayez, «L’incoronazione di Gioas», 1840 ca. Collezione W. Apolloni, Roma
Ma è entrando nel salone «che dà sulla via», che ci s’imbatte negli otto dipinti e negli otto bellissimi disegni di mano di Francesco Hayez, che è qui documentato dalla prime prove giovanili, come «Giuseppe spiega i sogni», 1811 ca., e «L’educazione di Achille» (1813) da lui dipinti a Roma durante gli anni della formazione, quando grazie a Canova poté conoscere il meglio della cultura internazionale, avvicinandosi alla cultura neoclassica. Fra i dipinti ci sono la terribile «Testa tagliata del conte di Carmagnola», 1834, che Hayez ebbe l’ardire di presentare all’Esposizione di Brera; il magnifico bozzetto a olio su tela di «La sete dei Crociati», 1838, preparatorio per il monumentale (ma ben più «ingessato» quadrone di Palazzo Reale a Torino: 34 metri quadri), con profilo fantasmatico di Gerusalemme sullo sfondo, come visto attraverso gli occhi di chi sta venendo meno, e l’olio dell’«Incoronazione di Gioas», 1840 ca., altra versione, dalla storia rocambolesca, del dipinto del Museo Revoltella di Trieste, e ci sono splendidi disegni, come il grande «Disegno con storia antica», 1811; l’«Allegoria dell’Ordine Politico di Ferdinando I d’Austria», 1836, studio (acquistato dalla Pinacoteca di Brera) per il soffitto della Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale: quel grandioso affresco, commissionatogli da Metternich in persona che sarebbe andato distrutto nella Seconda guerra mondiale. E poi volti e figure (Hayez era uno straordinario ritrattista), come il «Ritratto di Marco Alvise Bernardo», la «Maddalena penitente», 1822 (in realtà la sua spericolata amante Carolina Zucchi), l’incantevole «Rebecca», 1828, e l’«Autoritratto», 1881, da anziano, a matita e carboncino.
Ma la mostra ritesse l’arazzo di un’intera età (quella romantica) che a Milano, come quella appena precedente dell’Illuminismo (celebrata nelle vicine Gallerie d’Italia, cfr.), conobbe un’ineguagliabile fioritura e, insieme a quelli di Hayez, presenta dipinti e disegni di grandissima qualità di Carlo Arienti (suo il pensoso «Condottiero» del 1845-1850); di Giuseppe Molteni, grande antagonista di Hayez, lui però formato nel gusto viennese del Biedermeier; di Eliseo Sala, qui con il prezioso «Ritratto di gentiluomo», e di Giacomo Trécourt (magnifico l’«Autoritratto», 1845-1850), cui si aggiunge il raffinato busto in marmo del «Feldmaresciallo Heinrich Joseph Johannes Bellegarde, governatore austriaco di Milano» databile ai primi anni della Restaurazione, opera di Pompeo Marchesi, il massimo scultore lombardo della prima metà dell’800,