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Giorgio Guglielmino
Leggi i suoi articoliL’artista Cecilia Vicuña, nata a Santiago del Cile nel 1948, è nota sia per le sue grandi e incombenti installazioni di stoffa e fili sia per il suo attivismo politico. Sono quindi rimasto sorpreso e incantato quando a New York ho visto nella galleria Lehmann Maupin alcune lievi opere su carta di dimensioni ben più ridotte (55x75 cm) che non saprei come altro definire se non delicate poesie. Si tratta, come nell’opera qui riprodotta, di collage di piccoli elementi: qualche filo, un cordino, un pezzetto di legno, una figura che vagamente ricorda un’astronave disegnata a pastello.
Guardando questo lavoro mi è venuta in mente una poesia di Luciano Erba intitolata proprio «Pastello» (dedicata alle piccole Francesca e Caterina): «Ma come può un coniglio / fare il prato più verde / una strada ferrata /una stazione di mattoni rossi / nascondersi tra le colline di robinie / soprattutto questo odore di foglie nuove / ma come può?/ Come è possibile / che tutto un mondo si colori di mattina / se vi tengo per mano».
Ecco, la bellezza di queste opere di Cecilia Vicuña è inspiegabile proprio come il fatto che un coniglio rende il prato più verde e che tenere per mano le proprie figlie colora tutto il mondo di mattina. Come possono un piccolo filo di lana o un cordino creare un’opera così poetica? È inspiegabile, ma proprio questo è il bello.
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«Blue triangle» (2023), di Cecilia Vicuña. © Cortesia dell’artista e della Galleria Lehmann Maupin, New York
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