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Luca Scarlini
Leggi i suoi articoliFausto Melotti ebbe la passione per la leggerezza, che risuona nelle sue sculture che dialogano con il vento e con la natura. Adelphi ripubblica opportunamente a distanza di molti anni dalla prima edizione (1981) le sue Linee. Si tratta di una vera e propria epopea dello stupore, di una ricerca dello sguardo «del ragazzo impreparato, preda d’ogni fata morgana» che darebbe qualsiasi cosa per ritrovare quella condizione perfetta della visione, che nel frattempo si è intorbidata nel confronto con l’esperienza.
L’epigrafe avverte che nella notte i «fantasmi dilagano e i richiami e le invenzioni alla luce del mattino scolorano» e gli appunti sono inseriti come notazioni musicali (qui sotto ne proponiamo un frammento). Un pensiero ne genera quindi un altro e la storia dell’arte si riassume in concetti precisi, quanto evocativi, tra cui «l’aderenza vitale di un corpo plastico a un’anima», in una linea diretta che per lui va da Wiligelmo alla Pietà Rondadini in cui questo istinto «spira alla fine».
Frammenti di autobiografia compaiono per flash, narrando di vari luoghi, con una ricorrenza di immagini di Firenze. Al cuore di questa lineare ricerca sta una nota sconsolata sul «tutto è vano», in cui l’attività dell’artista è pestare l’acqua nel mortaio, evitando di piangere per il proprio scacco di fronte al mondo della fantasia. La fiaba, che non si può più raccontare, rimane il mezzo linguistico favorito dall’artista di Rovereto che dipana la sua visione delle vicende del presente e del passato, a partire dalla relazione con il cugino Carlo Belli, autore del romanzo celebre KN che fu la vera e propria bibbia dell’Astrattismo negli anni ’30.
Linee
di Fausto Melotti
introduzione di Giorgio Zampa
77 pp., ill.
Adelphi Editore, Milano 2015
€ 12,00
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