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il «nuovo» MoMA inaugurerà in ottobre esponendo opere come “Untitled», 1954, di Mario Freire

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il «nuovo» MoMA inaugurerà in ottobre esponendo opere come “Untitled», 1954, di Mario Freire

L’anima radicale del MoMA

Rivoluzione nell’ordinamento per la riapertura di ottobre: meno cronologia, più mix

Victoria Stapley-Brown

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Nella miriade di sedi cittadine dedicate all’arte contemporanea, e in considerazione del crescente interesse da parte del Metropolitan Museum of Art per i vari aspetti dell’arte contemporanea, dove si colloca, a distanza di 90 anni, il Museum of Modern Art di New York (MoMA), un’istituzione radicale al momento della sua fondazione nel 1929? «Ciò che ci rende diversi è la nostra collezione», dice Christophe Cherix, curatore capo del MoMA per i disegni e le stampe.

La collezione permanente, forte di 200mila opere, godrà di una nuova visibilità alla riapertura del museo prevista in ottobre dopo una ristrutturazione da 400 milioni di dollari che aggiunge quasi 10mila metri quadrati di spazio espositivo per la collezione. Tutte le mostre di apertura trarranno spunto dalle collezioni del MoMA, comprese le acquisizioni e le donazioni più recenti, in mostre come «Sur moderno: Journeys of Abstraction» (21 ottobre-marzo 2020) sull’arte moderna latino-americana, e «Betye Saar: the Legends of Black Girl’s Window» (21 ottobre-gennaio 2020).

«Il nostro obiettivo è riconquistare la sensibilità originaria del museo, che consisteva nell’essere stimolante e provocatorio», dice Ann Temkin, curatrice capo di Pittura e scultura. Quasi un secolo dopo, c’è la percezione che il MoMA sia diventato «più un ente autorevole e istituzionale che un luogo di pensiero davvero innovativo e vibrante».

Nella nuova esposizione delle sue collezioni permanenti, che ruoteranno a intervalli tra i sei e i nove mesi, il museo abbandonerà l’impostazione cronologica lineare. Esse rimarranno invece ancorate a una «logica cronologica» che consentirà il mix tra diverse tecniche e opere dello stesso periodo, provenienti da tutto il mondo, con in più la flessibilità di integrare opere di altri periodi in una sala cronologica «come provocazione, o eco, o complemento», dice la Temkin. «Penso che l’obiettivo complessivo del nuovo ordinamento sia quello di mettere in evidenza la pienezza dell’arte degli ultimi 150 anni e la ricchezza di tutte le varie direzioni intraprese, aggiunge. Oggi è un “pluriverso”, non un universo. Il MoMA non è qui per dire questo è migliore e questo è peggiore, o questo è giusto e questo è sbagliato, ma soltanto dire: questo è ciò che riteniamo affascinante e rilevante».

I curatori hanno anche cercato di colmare le lacune della collezione. A maggio 2018, per esempio, il MoMA ha acquistato 324 opere su carta degli inizi del XX secolo dalla Collezione Merrill Berman, che «hanno cambiato il modo in cui raccontiamo la storia delle avanguardie, dice Cherix. Ad esempio, abbiamo scoperto di avere pochissime opere di artiste donne e niente sul fotomontaggio, che potrebbe essere il vero linguaggio del XX secolo».

Le acquisizioni hanno anche incrementato le avanguardie dell’Europa centrale e orientale. Il museo vuole che newyorkesi e turisti tornino per vedere la collezione permanente, non solo le mostre temporanee. «Il MoMA è sempre stato un mix di permanente e temporaneo, ma in qualche modo gran parte del budget si era lentamente spostato verso la mostre di opere in prestito», dice la Temkin.

È una tendenza che lei attribuisce alla «esplosione alla fine del XX secolo delle grandi mostre e all’attenzione rivolta soprattutto alla frequentazione». E continua: «Il nostro retaggio è in ciò che acquistiamo. Se oggi comprassimo roba di scarsa importanza, tra 50 anni il MoMA non sarà più ciò che è oggi. Al contrario, se nei prossimi anni organizzeremo mostre di scarsa importanza, il MoMA sopravvivrà. Oggi si avvia un monumentale ripensamento dell’infrastruttura del museo».

il «nuovo» MoMA inaugurerà in ottobre esponendo opere come “Untitled», 1954, di Mario Freire

Victoria Stapley-Brown, 31 maggio 2019 | © Riproduzione riservata

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