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L’androide ha la memoria lunga

L’androide ha la memoria lunga

Federico Florian

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La conoscenza e l’archivio tra i temi di Goshka Macuga alla Fondazione Prada

Goshka Macuga, classe 1967, di stanza a Londra, presenta alla Fondazione Prada una sua personale dal titolo «To the Son of Man Who Ate the Scroll», aperta dal 4 febbraio al 19 giugno. Nota per installazioni che nascono da approfondite ricerche archivistiche, l’artista polacca, sorta di archeologa della cultura contemporanea, indaga il modo in cui l’uomo classifica e tramanda la conoscenza.

A Milano allestisce un’ambiziosa mostra-ricerca, nella quale ricopre il doppio ruolo di autrice e curatrice. Il Podium della Fondazione ospita un’esposizione collettiva che prende spunto dalle riflessioni dell’artista sull’Ars Memorativa (fondata sulle teorie di pensatori quali Simonide e Aristotele) e su come quest’ultima abbia influenzato lo sviluppo della memoria artificiale.

Al piano terra un robot dalle fattezze umane, concepito dalla Macuga e prodotto in Giappone da A Lab, funge da archivio del discorso umano, declamando frammenti di discorsi di filosofi e pensatori. Circondano l’androide un gruppo di opere dalla collezione Prada realizzate da Robert Breer, James Lee Byars, Ettore Colla, Thomas Heatherwick ed Eliseo Mattiacci, insieme ad altri lavori dell’artista polacca.

Una seconda installazione della Macuga, concepita insieme a Patrick Tresset, occupa il secondo piano: una serie di cinque tavoli sostiene rotoli di carta lunghi 10 metri ricolmi di disegni, schizzi, formule e diagrammi tracciati da un robot realizzato da Tresset. In corrispondenza di un sesto tavolo altri due robot continuano a disegnare senza sosta sui rotoli, sopra i quali sono disposti manufatti, opere d’arte, libri e documenti.

È una rappresentazione dell’evoluzione della conoscenza umana, nella quale gli androidi evocano lo spettro di un possibile collasso. Completa il progetto l’opera pensata dalla Macuga per gli spazi della Cisterna: 60 calchi in bronzo delle teste di vari intellettuali (tra cui Freud, Marx e Martin Luther King), collegati tra loro da barre metalliche.

Qui l’autrice traduce mediante il linguaggio scultoreo la proposta sollevata un tempo da Albert Einstein: una leadership intellettuale come mezzo per prevenire la guerra.

 

Federico Florian, 02 febbraio 2016 | © Riproduzione riservata

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