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Il Musée d’Orsay rende omaggio alla pratica artistica della fotografa che ha saputo intrecciare la vita quotidiana di artisti, modelli, giardini, feste e momenti di lavoro nell’istituzione romana a un delicato racconto affettivo
- Alessia De Michelis
- 30 ottobre 2025
- 00’minuti di lettura
 
                        
                 
                
            
        Gabrielle Hébert, «Eléonore d’Uckermann, la modella Natalina, il principe Abamelek, e il cane Farfalette sulla terrazza del Bosco», 1891, Musée Hébert-Musée d’Orsay Collection
Photo © Musée d’Orsay, Dist. Grand Palais Rmn / Alexis Brandt
L’«amour fou» di Gabrielle Hébert per Villa Medici
Il Musée d’Orsay rende omaggio alla pratica artistica della fotografa che ha saputo intrecciare la vita quotidiana di artisti, modelli, giardini, feste e momenti di lavoro nell’istituzione romana a un delicato racconto affettivo
- Alessia De Michelis
- 30 ottobre 2025
- 00’minuti di lettura
Alessia De Michelis
Leggi i suoi articoliSviluppata in collaborazione con il Museo Hébert di La Tronche (Isère), in cui sarà presentata nella primavera del 2026, la mostra «Gabrielle Hébert. Amour fou a Villa Medici» (fino al 15 febbraio 2026) al Musée d’Orsay di Parigi dedicata a Gabrielle Hébert approderà nel 2027 all’Accademia di Francia a Roma-Villa Medici. Curata da Marie Robert, già in residenza congiunta tra la sede romana e il museo parigino per un progetto sulla storia della fotografia, l’esposizione riporta alla luce una figura rimasta a lungo nell’ombra del marito, il pittore Ernest Hébert, direttore per due mandati dell’Accademia di Francia.
Fotografa appassionata, Hébert (1853-1934) scoprì il mezzo nel 1888 proprio a Villa Medici, in cui iniziò a sperimentare con un’intensità sorprendente. Seguendo l’esempio di artisti e scrittori come Henri Rivière, Maurice Denis o Émile Zola, trasformò la macchina fotografica in uno strumento intimo, familiare, poetico. Acquistò una macchina fotografica, prese lezioni a Roma, e insieme al pittore Alexis Axilette allestì una camera oscura. Ne nacque un corpus di quasi 2mila immagini, in cui la vita quotidiana della Villa (artisti, modelli, giardini, feste e momenti di lavoro) si intreccia a un delicato racconto affettivo.
Il suo sguardo, attento e partecipe, restituisce Villa Medici come non era mai stata vista: luogo di creazione, ma anche laboratorio di relazioni, riflesso del dialogo tra Francia e Italia a fine Ottocento. In queste immagini, Gabrielle rovescia i ruoli di genere, facendo del marito (pittore, direttore, uomo pubblico) il soggetto del proprio obiettivo. Sedute di posa, momenti di intimità, passeggiate o scene di lavoro diventano atti di osservazione e di affermazione identitaria.
Con la morte di Ernest, nel 1908, smette di fotografare. Le ultime immagini, scattate durante un viaggio in Spagna con una Kodak portatile, chiudono il cerchio: una «tomba poetica» per immagini, dedicata all’uomo amato e alla scoperta di sé attraverso la fotografia.
