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«Hammer and Sickle» (1976) di Andy Warhol, Monaco di Baviera, Museum Brandhorst. © 2020 The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. / Licensed by DACS, London

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«Hammer and Sickle» (1976) di Andy Warhol, Monaco di Baviera, Museum Brandhorst. © 2020 The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. / Licensed by DACS, London

Ladies and Gentlemen, Warhol!

Alla Tate Modern l’artista-celebrità alla prova del XXI secolo

Federico Florian

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Londra. Dal 12 marzo al 6 settembre la Tate Modern dedica un’ampia antologica a una delle figure più celebri dell’arte del XX secolo: Andy Warhol. A cura di Gregor Muir, la mostra è organizzata in collaborazione con il Museum Ludwig di Colonia, l’Art Gallery of Ontario di Toronto e il Dallas Museum of Art. Fiontán Moran, assistente curatore alla Tate Modern, risponde a «Il Giornale dell’Arte».

Warhol è uno degli artisti più esposti in tutto il mondo. C’era davvero bisogno di una nuova retrospettiva a lui dedicata?
Sono passati 18 anni dall’ultima mostra di Warhol alla Tate Modern e ora la sua influenza è forse più significativa di quanto non lo sia mai stata. Vogliamo offrire a una nuova generazione di visitatori la possibilità di esplorare e capire il suo lavoro in un contesto contemporaneo, e mettere in dubbio alcuni presupposti e rappresentazioni di Warhol come persona e come artista. A tal fine, la mostra riporta alla memoria il fatto che questo artista-celebrità crebbe in una famiglia di immigrati di ceto basso, e che la sua sessualità e religione furono entrambi aspetti essenziali della sua vita e del suo lavoro. In questa antologica abbiamo raccolto cento lavori di Warhol, sottolineando temi ricorrenti quali il desiderio, l’identità e la fede, che emergono tutti dalla biografia dell’artista. La mostra presenta molte opere che non sono mai state esposte prima in Gran Bretagna, fra cui la tela lunga 10 metri «Sixty Last Suppers», realizzata solo alcuni mesi prima della sua morte, e un gran numero di lavori da una delle sue serie meno note, «Ladies and Gentlemen».

Ci racconta qualcosa in più a proposito di quest’ultima serie? 
«Ladies and Gentlemen» è una delle serie di lavori più ampie di Warhol, essendo composta di 250 ritratti a colori accesi di drag queen e donne trans latine e afroamericane di New York. La Tate Modern presenta 25 di questi lavori, in prestito da una collezione privata per la prima volta in tre decenni. Originariamente commissionati dal gallerista italiano Luciano Anselmino nel 1974, i dipinti vennero realizzati in un’epoca di crescente interesse nei confronti della fluidità di genere, e in seguito alla morte prematura di Candy Darling, l’attrice transgender che recitò in alcuni dei film di Warhol. Anche se i nomi delle modelle non furono indicati quando «Ladies and Gentlemen» fu presentata per la prima volta più di quarant’anni fa, alcune di loro erano figure di spicco, come Marsha «Pay it no mind» Johnson, che giocò un ruolo chiave nei moti di Stonewall del ’69. Grazie a nuove ricerche intraprese dalla Andy Warhol Foundation nel 2018, sono state identificate tutte tranne una delle 14 modelle, consentendoci così di dare un nome alle sette presenti in mostra.

Il movimento femminista e figure quali Valerie Solanas accusarono Warhol e la sua arte di sessismo. Fra le artiste contemporanee critiche del suo lavoro vi è in primis Barbara Kruger, autrice nel 1987 del saggio «Contempt and Adoration». Sull’onda del #MeToo e della maggiore consapevolezza da parte del mondo dell’arte e delle istituzioni internazionali nei confronti della disparità di genere, in che modo questa mostra affronta la questione del Warhol «sessista»?
Nonostante Warhol abbia contribuito a plasmare l’arte del XX secolo, è stato fondamentale riflettere su come questa mostra potesse creare uno spazio per i dubbi e le perplessità su Warhol nel XXI secolo. Il tentato omicidio da parte di Valerie Solanas è parte della narrazione espositiva, così come l’importanza del suo SCUM Manifesto. La fascinazione di Warhol per il glamour è considerata dalla prospettiva di nozioni idealizzate di bellezza femminile (e maschile), ma anche tenendo conto delle stesse insicurezze dell’artista verso il proprio corpo e di come ciò si relazioni a un’idea religiosa di miglioramento e perfezionamento. Molti dei lavori in mostra illustrano le contraddizioni tra l’attrazione nei confronti delle donne e la loro reificazione e oggettificazione, fornendo nuovi punti di discussione per i visitatori.
 

Federico Florian, 03 marzo 2020 | © Riproduzione riservata

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